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Il pittore di Langa, intervista con Fabrizio Borgio

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Questa volta a Giorgio Martinengo tocca fare da balia ad una giovane e fumantina ragazza bene di origine argentina. Ne Il pittore di Langa, Fratelli Frilli Editori, il detective langarolo viene infatti assunto per assistere una giovane critica d’arte, che si è trasferita in Piemonte per seguire pittori e gallerie del nord Italia.

In particolare ne segue uno molto apprezzato, di cui lei è tra i maggiori conoscitori mondiali, che però si toglie la vita. Così l’assistenza di Martinengo si trasforma in qualcosa di diverso ed il nostro finisce per trovarsi in un’avventura noir di quelle vere. Trovate la recensione completa qui.

Fabrizio Borgio, Martinengo questa volta si trova a fare da balia ad una giovane e tormentata critica d’arte. Come è nato questo soggetto?

L’idea di base per Il pittore di Langa mi è stata ispirata da un racconto di Ursula K. LeGuin, l’Occhio che cambia, contenuto nell’antologia La Rosa dei venti. In Italia pubblicata la prima volta nel 1984 dalla Editrice Nord. Era una riflessione sul rapporto tra quello che si vede e come lo si vede. Non starò qua a riassumere il racconto, solo, lo consiglio. In seconda battuta volevo scrivere una storia che si muovesse nel mondo dell’arte, un ambiente a forte rischio di frode, quindi un terreno ghiotto per una potenziale immagine. Per ultimo, volevo analizzare ulteriormente il sentimento della paternità, tema che già avevo toccato in Panni Sporchi ma che evidentemente non avevo sviscerato a sufficienza.

In realtà il nostro detective viene assunto perchè è un grande conoscitore della zona. Che rapporto c’è tra Martinengo e le Langhe?

Martinengo ha un rapporto intenso e profondo con la sua terra, più cresce più è consapevole delle proprie radici. Il legame col territorio è un qualcosa che ci portiamo dentro fin dalle origini, basta ricordare come il legame dei celti liguri (tra i primi abitanti del Piemonte) fosse talmente viscerale che quando i romani avevano iniziato le deportazioni delle tribù sconfitte, alcune scegliessero il suicidio di massa. L’amore di Giorgio Martinengo per il Piemonte è forte e problematico, non scevro di conflitti e critiche. È un po’ come il rapporto conflittuale che trascina da sempre con suo padre.

Il pittore di Langa è un noir vero, per temi e atmosfere. L’ambientazione può superare l’aspetto giallo in una storia?

Qua apriamo una diatriba vecchia come il genere. Che cos’è il noir? Un genere? Un’atmosfera? Un “mood”? Agli inizi aveva alcune codifiche che col tempo si sono diluite dentro altri generi. Lo vedo come un filtro, una lente attraverso la quale si possono declinare i generi più disparati. Non credo esista un noir puro. Di certo, nel Pittore di Langa l’elemento giallo è debole, ininfluente verso il finale. È in qualche modo incidentale rispetto alla storia. Il giallo italiano è ormai un genre a sé; l’elemento territoriale è una caratteristica saliente ma l’algoritmo è inevitabilmente sempre quello e forse, avendone scritto e letto tantissimo è arrivato il momento di affrancarmene per un po’. Penso che Il Pittore di Langa sia un passo ulteriore verso una pausa che voglio prendermi dal genere.

Naturalmente Martinengo finisce per cedere al fascino di uno dei personaggi del racconto, ma per lui il lavoro viene sempre prima di tutto…

È l’eterno conflitto che man mano che il personaggio matura si ritrova a combattere: seguire il senso del dovere o seguire i sensi? Riscoprire e vivere l’erotismo per un uomo solitario e ormai oltre il mezzo secolo di vita è una pulsione che si rafforza a discapito dell’avanzare dell’età. È forse un segno primitivo di senilità, il voler provare gli ultimi palpiti di passione prima della pace dei sensi o l’istinto di sopravvivenza che induce alla riproduzione. Anche in questo entra in gioco quel discorso sul senso della paternità che avevo anticipato nella domanda di prima. Giorgio Martinengo appartiene alla sfortunata generazione X, la generazione che è ancora cresciuta nei miti della precedente, i vituperati boomers ma che per prima ha sbattuto il grugno contro il mondo nuovo che quei miti ha frantumato nel nome del profitto. Giorgio è così cresciuto con un’educazione ancora rigorosa, ancora sabauda, viene da un mondo che sta svanendo, da un Piemonte con un quadro antropologico e, azzardo, etnico, che le migrazioni recenti da cinquant’anni a questa parte stanno diluendo fino a creare un’altro popolo. Il senso del dovere è uno di questi marchi antichi che in lui non riesce a estinguersi.

Come si trova il tuo detective nel mondo dell’arte?

Si trova bene. Giorgio Martinengo è un artista mancato a suo modo, un giovane che ha sognato una vita bohemienne, un potenziale radical chic che uscendo dal suo mondo ha imparato a ignorare, diventando quel che è adesso. Rimane l’interesse, a curiosità tipica dell’uomo affamato di sapere e di esperienze che è sempre stato.

Langhe, Monferrato, questa volta ci si spinge fino a Baveno e al confine con la Svizzera. Che rapporto ha Fabrizio Borgio con questa fetta di Piemonte?

Un rapporto affettuoso. È l’altro Piemonte, quello più romantico, più sensibile a una bellezza che un contadino invece tende a ignorare. Eppure c’è legame, perchè in passato la migrazione da una parte della regione all’altra c’è sempre stata. Proprio nell’astigiano per esempio non sono rari i cognomi originari del Verbano. La famiglia stessa di mio padre ho scoperto essere originaria del nord Piemonte.

Dove vedremo impegnato Martinengo nella prossima avventura?

Alla luce di quanto dichiarato prima è prematuro parlare del prossimo libro con Giorgio Martinengo, di sicuro è che ci sono tanti progetti in programma.

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