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Più di un mese dopo, non si placano le polemiche intorno al Salone del Libro di Torino

Gli editori presenti al Salone hanno incontrato non pochi ostacoli, anche e non solo di natura pratica.

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TORINO – Si è concluso ormai più di un mese fa un nuovo capitolo per il Salone del Libro, il primo sotto la direzione di Annalena Benini, che ha portato l’attenzione su moltissimi temi per lettrici e lettori di ogni età. Una XXXVI edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino praticamente da record: cinque giorni che hanno portato nei padiglioni del Lingotto 222.000 persone.

Ma, come in ogni grande manifestazione che si rispetti, accanto ai bei momenti e agli incontri da ricordare non sono mancate tensioni e polemiche: manifestazioni pro-palestina, le contestazioni a Elena Cecchettin, lo scrittore Stefano Massini aggredito verbalmente e spintonato; le spinose questioni della regione ospite, la Liguria, e la presenza gradita o meno di Fedez.

E visto che stiamo sciorinando pregi e difetti di una delle più attese iniziative culturali, non possiamo non tener conto del fatto che gli editori presenti al Salone hanno incontrato non pochi ostacoli, anche e non solo di natura pratica.

Sebbene ci sia da aspettarselo, ché qualcosa può sempre andare storto, è anche vero che si rende necessario un pensiero più approfondito su ciò accade nel dietro le quinte di eventi di tale portata.

Un Salone lontano dalle case editrici indipendenti

È quanto portato all’attenzione pubblica da quattro piccole case editrici – Rina Edizioni, LiberAria Editrice, TerraRossa Edizioni e Stilo Editrice nello specifico – alle quali questo Salone ha lasciato l’amaro in bocca e non poco rammarico.

Di certo, per loro, una edizione da non ricordare con positiva nostalgia e che accusa il Salone della Benini di scarsa attenzione nei confronti degli editori indipendenti che, in questo caso, hanno affidato le loro rimostranze a un lungo post social:

Post lungo e polemico, (perché fa sempre bene), condiviso con LiberAria Editrice, TerraRossa Edizioni e Stilo Editrice, per riaprire la questione con il Salone Internazionale del Libro, che possiamo estendere più in generale a tutte le fiere e ai malfunzionamenti di tanti aspetti che stanno portando al collasso dell’editoria. Perché pensiamo sia corretto scoprire gli altarini.

Caro Salone del Libro di Torino, abbiamo aspettato un mese dalla fine della fiera prima di scrivere questo post, il tempo necessario per far passare il disappunto e l’amarezza, ma anche per avere risposta alla pec di rimostranze che vi abbiamo inviato, cosa che puntualmente non è avvenuta. Insomma ci avete ghostato, come nelle migliori relazioni tossiche, e l’avete fatto fin dall’inizio. Ma andiamo con ordine.

Quest’anno eravamo quattro editori indipendenti, Liberaria, Rina, Stilo e TerraRossa, e abbiamo deciso di prendere uno stand più grande (24mq in luogo dei soliti 16), confermando la nostra partecipazione appena aperte le iscrizioni e saldando la nostra quota regolarmente a metà marzo.

Ai primi di marzo abbiamo cominciato a inviare mail per sapere se ci fosse stato riconfermato, come auspicavamo, lo stand avuto negli ultimi cinque anni al padiglione 3.
Non ci ha mai risposto nessuno.

Una prima comunicazione è arrivata il 15 aprile, a seguito di numerose mail senza risposta e di altrettante telefonate in cui ci è stato ribadito che eravate troppo impegnati per risponderci. Perché noi, invece, notoriamente smacchiamo ghepardi.

Quando è arrivata la proposta, la sera del 15 aprile, lo stand era notevolmente più piccolo di quello pagato e in tutt’altra posizione.
A quel punto abbiamo riscritto, ma ancora una volta nessuna risposta fino al 20 aprile, in cui ci è stato assegnato uno stand di 24mq questa volta, ma chiaramente ricavato a stento dallo sfratto di qualcun altro: la disposizione dello stand ricordava una cucina anni ’80, un blocco quadrato da 16mq più un corridoio da 8mq, che naturalmente è rimasto inutilizzato.

Questo straordinario ritardo ci ha impedito tante cose: di poter usufruire dei servizi aggiuntivi della fiera, che scadevano il 20 aprile e per cui avremmo dovuto pagare maggiorazioni se avessimo voluto servircene; di predisporre per tempo comunicazione e grafiche, di mandare il numero di stand ai nostri distributori in tempo utile. Abbiamo organizzato il Salone in dieci giorni di lavoro forzato e riunioni nei fine settimana.

Le sorprese che ci avete riservato però non erano finite: quando siamo venuti ad allestire, la curiosa posizione dello stand guardava verso il muro, aveva una pianta diversa da quella approvata, e un bizzarro lato chiuso che affacciava verso il padiglione. In pratica eravamo invisibili. Alla posizione remota e di per sé introvabile, ha poi contribuito al nostro oblio il fatto che due di noi, Liberaria e TerraRossa, non fossero rintracciabili sul vostro sito nemmeno col motore di ricerca, inconveniente a cui avete riparato il venerdì sera e solo su nostra segnalazione.

Il primo giorno mancava la corrente elettrica al nostro stand, per cui non solo non avevamo la luce e la possibilità di ricaricare pos e telefoni, ma avevamo anche elettricisti sulla scala dediti a curiose acrobazie in mezzo ai lettori che si avvicinavano allo stand.
In tutto questo, nemmeno una parola, una mail, un messaggio, un incontro, una mano tesa a cercare di aiutarci o almeno di risponderci.

Forse volevate comunicarci che, a dispetto dei bei proclami, piccolo non conta, eppure noi piccoli nel nostro piccolo abbiamo saputo fare la differenza, anche per il Salone.

Tralasciando la nostra esperienza, troviamo assurdo che una manifestazione culturale di portata internazionale stabilisca che un biglietto d’ingresso costi 22 euro. Crediamo sia inutile, ovvio e quindi offensivo per chi legge, argomentare il perché.

Non sarà mai troppo tardi quando gli editori e chi lavora in questo bizzarro (e malsano) mondo dell’editoria capirà e imparerà che darvi meno importanza, o meglio darsi meno importanza e prendersi meno sul serio, depotenziare i meccanismi che muovono questa macchina infernale per immaginare altri modi più collaborativi e solidali, basati sul rispetto e sulla consapevolezza di sé e soprattutto degli altri, quindi su un’etica, potrebbero essere delle vie percorribili per l’autosostentamento. La cultura dovrebbe aprirsi e tendere verso la gente, evitando “egoriferimenti” inutili e piatti.

Vorremmo che questa spiacevole esperienza non rimanesse solo un brutto ricordo o un aneddoto dell’ultima edizione del Salone da raccontare con rabbia, ma servisse come caso su cui riflettere per provare a ridurre sempre di più che accada in futuro a altri editori e soprattutto per cambiare direzione e prospettiva.

Ora è la fiducia l’unica arma che ci è rimasta per riaversi dallo stordimento.
Certi del vostro silenzio, confidiamo di essere stupiti da una vostra riflessione.

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3 Commenti

1 Commento

  1. Avatar

    Andrea Della Bosca

    23 Giugno 2024 at 9:13

    Hanno perfettamente ragione! E poi 22 euro per l’ingresso! Un vero e proprio furto!

    • Avatar

      Daniele Miller

      23 Giugno 2024 at 21:08

      Editori indipendenti trascurati? E che dire dei self publisher, tra i quali si celano spesso degli autentici talenti, di cui non è stata nemmeno fatta menzione dai media? Dove finisce la cultura e dove inizia la pura vetrina, col Fedez o Salvini di turno giusto per attrarre i visitatori e fare cassa?

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    Diego parolo

    23 Giugno 2024 at 12:02

    credo sia veramente incredibile. mi ricorda una simile esperienza vissuta in occasione della nostra, come piccola azienda, partecipazione ad un ‘edizione di Torino in fiore a cui eravamo stati invitati, partecipazione pagata lautamente con mesi di anticipo. È stata l’ ultima, ma l’ organizzazione non ha nemmeno sentito il bisogno di scusarsi per tutti i disagi, e i mancati riscontri, che ci ha procurato.

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