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Morire in carcere? Un viaggio tra le mura delle Vallette, dove la pena diventa abbandono

Tra disperazione, solitudine e silenzi istituzionali, i detenuti chiedono ascolto e dignità

Alessia Serlenga

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Uomo in carcere

TORINO – In pochi giorni, due vite si sono spente tra le mura delle Vallette: un ragazzo di 27 anni che ha inalato gas da un fornello da campeggio e una donna, Susan John, che ha scelto di lasciarsi morire di fame e di sete. Due gesti estremi, due grida disperate inascoltate da un sistema che troppo spesso guarda, ma non vede.

Il giovane, si è chiuso nella sua cella e ha lasciato che il gas gli togliesse il respiro. Il compagno di cella, trovato incosciente, è sopravvissuto.

“Lo sport era la sua vita… gli è scattata una molla”, dice un altro detenuto.

Pochi giorni prima, Susan John, 45 anni, madre, condannata per tratta, aveva smesso di mangiare e bere. Da luglio rifiutava ogni cura, chiedeva solo una cosa: vedere suo figlio. Nessuno ha potuto o voluto intervenire. Era nel reparto psichiatrico, sotto controllo continuo, eppure è morta da sola, lasciando solo un biglietto: “Se mi succede qualcosa, chiamate il mio avvocato.”

“A Natale, qui dentro si lascerebbero le celle aperte 24 ore su 24. Perché si soffre. Perché si pensa ai figli, alla famiglia, a tutto quello che non c’è”, racconta un detenuto.

Nelle lettere che i detenuti scrivono, nelle testimonianze raccolte, si legge l’appello di chi non vuole solo scontare una pena, ma vuole farlo da essere umano.

“Ci sono troppe persone con pene minori che potrebbero stare fuori, in affidamento o a lavorare. Ma qui siamo in 1300 in uno spazio per 900”. La voce si fa collettiva: “Qua dentro siamo anime. Abbiamo sbagliato, sì. Ma siamo persone.”

“Non mi importa più della libertà”, confessa un detenuto. “Aiuto gli altri, ma non ce la faccio più.” Eppure dentro, qualcuno prova ancora a costruire qualcosa: tornei di scopa, calcio, ping pong, una sigaretta data al momento giusto, un abbraccio quando si piange nel bagno. Fuori, il nulla.

“Una volta fuori, sei solo. Devi mangiare, sopravvivere. E se non hai nessuno, prima o poi, torni qui”, conclude un altro detenuto.

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1 Commento

1 Commento

  1. Ardmando

    14 Maggio 2025 at 12:19

    Non vuoi morire in carcere? Non fare cose ti portino ad essere incarcerato. Smettiamola di commiserare chi vive da delinquente e finisce per pagare la stupidità o la cattiveria delle proprie azioni. Il carcere deve incutere paura, altrimenti è solo un ostello del terzo mondo.

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