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Elena Del Santo e Claudio Marinari raccontano le Architetture moderne a Torino
L’intervista con Elena Del Santo e Claudio Marinari

TORINO – L’architettura torinese è nota per il suo incredibile liberty, per gli splendori barocchi di Juvarra, per le linee pulite di Guarini, per le costruzioni ardite di Antonelli… eppure anche l’architettura moderna torinese nasconde dei gioielli di inestimabile valore. Alcuni di questi sono noti e impongono la loro presenza anche al visitatore distratto (dal Museo dell’Auto al PalaIsozaki, dall’Oval ala casa dell’obelisco, ai due grattacieli cittadini), altri sono meno noti e bisogna andare a scoprirli, altri ancora si nascondono benissimo e svelano il loro splendore solo a chi ha la fortuna di ptervi accedere.
Elena Del Santo e Claudio Marinari hanno raccolto ben 88 di questi gioielli architettonici, tutti realizzati a partire dalla fine degli anni ’50 del ‘900 e li hanno inseriti in una gustosa guida che porta il titolo di Architetture moderne a Torino, Neos Edizioni.
Scopriamo così dei veri capolavori, spesso arditi, le loro storie e quelle degli architetti che li hanno ideati, pensati e realizzati. Si tratta di fabbriche riadattate a nuovi scopi, di intere aree urbane ridisegnate, di chiese, musei, parchi, ma anche e soprattutto di abitazioni private. E sono proprio queste le meno note e le meno facilmente rintracciabili, ma anche le più affascinanti e spesso sorprendenti.
L’intervista con Elena Del Santo e Claudio Marinari
Avete raccolto in questa guida 88 architetture moderne che negli ultimi 60 anni hanno ridisegnato Torino. Con quale criterio le avete scelte?
Non c’è stato un unico criterio. I motivi della scelta sono stati molteplici: l’importanza dell’intervento, la qualità architettonica, l’estetica (ma questo ovviamente è un dato soggettivo) e l’innovazione. Sembra strano, ma abbiamo scartato numerosi edifici che potevano rientrare nella guida. Unico dato che li accomuna è che sono tutti realizzati dopo il 1950.
Il libro si può leggere come una raccolta di curiosità architettoniche per chi vuole approfondire una Torino meno nota ma anche utilizzare come una vera e propria guida per muoversi in un tour dedicato in città. Come l’avete pensato?
Abbiamo deciso di radunare gli edifici per quartieri e non, invece, proporre i classici itinerari che spesso richiedono lunghi spostamenti. Crediamo che in questo modo la visita sia più agevole, in quanto le architetture segnalate, concentrate in un’unica area, si possono raggiungere a piedi, con una semplice passeggiata. Un modo anche per scoprire piccoli interventi a fianco di edifici più importanti ma di altri periodi storici. Crediamo inoltre che i quartieri vadano “vissuti”, ognuno ha le proprie caratteristiche sia da un punto di vista edilizio che residenziale, conoscerli vuol dire capire il tessuto autentico della città, non solo la “facciata”. Noi, questo speriamo di dare a chi vorrà leggerci: far comprendere le tante anime della città. Di una città che è in gran fermento, con tutte le sue problematiche, pregi e difetti.
Nella vostra guida ci sono ovviamente le architetture più note ma anche una lunga serie di edifici privati. Mi sembra questa la parte più gustosa da scoprire. Come avete scovato le più nascoste tra queste?
C’è voluto del tempo, tanto tempo. Oseremmo dire anni. E una ricerca certosina, abbiamo setacciato a tappeto la città per scovare le nuove costruzioni, ci siamo fatti inviare i progetti dagli studi di architettura e siamo andati anche a suonare i campanelli delle case private… qualcuno ci ha offerto pure il caffè!
Ci segnalate alcune delle architetture più curiose e meno note che possiamo trovare nel libro?
La Bottega d’Erasmo, ad esempio, è nota soltanto agli architetti ed è un simbolo della corrente del Neoliberty, connubio di materiali antichi e moderni; Up Town Torino, esempio di riconversione urbana in chiave moderna ma con attenzione alla natura, tema di grande attualità in edilizia; il Cortile del Maglio, riqualificazione delle fucine dell’Arsenale militare, notevole il tetto realizzato in legno lamellare e struttura ramificata in acciaio; Parma 33, uno degli edifici dalla facciata più artistica, in acciaio corten con installazione d’arte sulla balaustra dei balconi; Borgo Hermada, trasformazione di un ex convento integrato da due nuovi edifici moderni per creare un piccolo borgo; la casa-studio di Mastroianni, edificio dell’avanguardia artistica del periodo.
Ogni palazzo, ogni struttura architettonica, racchiude in sè una fetta dell’architetto che l’ha disegnata e voi date ampio spazio a queste storie e a questi personaggi. Chi sono i principali architetti che hanno lasciato il segno nella Torino moderna?
I principali sono quelli che hanno realizzato le opere più imponenti, e per ovvi motivi. Gabetti&Isola e Studio, Mario Botta progettista della chiesa del Santo Volto a Parco Dora, le archistar Arata Isozaki e Renzo Piano. E Luciano Pia, nei cui edifici la vegetazione diventa parte integrante dell’architettura.
Il motto delle Olimpiadi di Torino 2006 recitava “Always on the move”. E’ questo continuo movimento e cambiamento, anche dal punto di vista architettonico, la forza di Torino?
Si, il cambiamento è insito nella storia di Torino, un po’ per necessità un po’ per vocazione. Nasce come accampamento romano, viene immaginata, guidata e trasformata nella capitale unitaria di un regno dalla dinastia dei Savoia, culla del Barocco. Diventa capitale d’Italia con i suoi edifici governativi, va in crisi col trasferimento della capitale e deve cominciare da capo. Si reinventa città industriale, per poi dover cambiare ancora. Città della moda, cinema e tv, città olimpica, città turistica, città universitaria. Tutte queste trasformazioni si possono leggere negli edifici.
Vorrei chiudere con una nota poco felice (che ovviamente trattate nel libro): come è stato possibile che Torino abbia abbandonato il Palazzo del Lavoro di Nervi fino a lasciarlo ridurre nelle condizioni attuali?
Il gioiello di Pier Luigi Nervi da oltre 15 anni è abbandonato e da altrettanti aspetta una risposta su quale sarà il suo futuro. Ormai il degrado ha preso il sopravvento, specie dopo gli incendi dolosi avvenuti nel 2015. Sono tanti i progetti rimasti sulla carta. Si è parlato di un centro per le start up, di un mega centro commerciale, di un Museo dei Musei, le proposte sono state tante ma nulla è mai stato realizzato. Il Palazzo del Lavoro non è mai stato una priorità, per nessuno a quanto pare. Troppo imponente e troppo complicato da trasformare, anche da un punto di vista economico. L’ultima news parla di un centro d’arte del fondo sovrano del Qatar: Tamim bin Hama Al-Thani, a capo del Qatar Investment Authority, e la sorella Al Mayassa pare siano interessati all’acquisto dell’edificio, ma è una notizia di aprile. Al momento tutto tace, speriamo ci siano trattative in corso.
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