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Il patrimonio linguistico delle Alpi: il walser
Tra la moltitudine di lingue e dialetti che si sono susseguiti nei secoli, oggi vi raccontiamo del walser. Un idioma che sopravvive tra gli anziani delle comunità della Val d’Ossola e della Valsesia.

PIEMONTE – Tra le valli più alte e impervie del Piemonte sopravvive una lingua antichissima, arrivata sulle Alpi più di sette secoli fa e rimasta sorprendentemente integra fino a tempi recenti: è il walser, uno degli idiomi minoritari più affascinanti dell’arco alpino.
Una lingua arrivata “dal cielo”
Il termine walser compare per la prima volta in un documento del 1319, ma la storia di questo popolo inizia almeno un secolo prima. I Walser partirono dal Canton Vallese svizzero e attraversarono i passi alpini per colonizzare territori ritenuti allora inabitabili. Pastori e contadini esperti, vennero spesso chiamati da monasteri e feudatari, che concedevano loro terre e libertà in cambio della bonifica dei terreni.
Durante i ‘traslochi’, insieme a pochi oggetti essenziali, portarono con sé un dioma, il tedesco alto-alemanno arcaico, oggi considerato una delle forme più antiche ancora documentabili di questa famiglia linguistica.
Isole linguistiche tra le montagne
I Walser si insediarono in un’area vastissima che si estendeva dalla Savoia al Tirolo, creando vere e proprie isole linguistiche separate tra loro. Anche in Piemonte il walser non è uguale ovunque: ad esempio a Macugnaga si parla il titsch, ad Alagna il titzschu e a Rimella il tittschu.
Sono varianti nate dalle contaminazioni con il piemontese, il francoprovenzale, l’italiano e le parlate svizzere. Cambiano suoni e vocaboli, ma la struttura resta la stessa, profondamente legata alla vita silvo-pastorale. Infatti è possibile constatare come sia una lingua che riflette il rapporto quotidiano con la natura. Esistono verbi che in italiano non hanno un equivalente diretto, perché descrivono azioni specifiche della vita alpina, come “andare a fare funghi” o “andare a tagliare la legna” intesi non come attività occasionali, ma come gesti rituali e stagionali, sfumature di una cultura.
Poche parole scritte, molta memoria orale
Il walser è sempre stato soprattutto una lingua tramandata oralmente. Le prime testimonianze scritte risalgono solo al XVIII secolo e sono perlopiù lettere di emigrati o manoscritti di parroci. La sua vera forza è stata la trasmissione familiare: calandoci nei panni delle antiche famiglie walser, nelle lunghe sere d’inverno, attorno alla stube (il tradizionale soggiorno alpino), donne e anziani raccontavano storie, filastrocche e leggende, mantenendo viva la lingua e le storie di generazione in generazione.
Una lingua in pericolo
A partire dalla fine dell’Ottocento, e poi nel Novecento, il walser ha iniziato a scomparire rapidamente. Fenomeni quali le politiche di italianizzazione, lo spopolamento delle valli, l’introduzione della liturgia in italiano e la mancanza di una tradizione scritta forte ne hanno ridotto drasticamente l’uso quotidiano.
Oggi in Piemonte il walser sopravvive soprattutto tra gli anziani delle comunità della Val d’Ossola e della Valsesia, mentre in Valle d’Aosta resiste a Gressoney, dove si parla la variante considerata più arcaica.
Per evitare la scomparsa definitiva di questo patrimonio linguistico, sono attivi Sportelli Linguistici Walser e iniziative culturali dedicate. In Valsesia è stato creato anche un polo museale che racconta la vita, il lavoro e la lingua di questa comunità transalpina.
Il walser non è solo una lingua, ma rappresenta una memoria collettiva fatta di montagne, silenzi, fatica e resilienza. Un’eredità fragile, che racconta una parte fondamentale della storia culturale del Piemonte.
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