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La strage fascista di Torino, era il 18 dicembre 1922

TORINO – Nel tardo autunno del 1922, l’Italia era ormai in mano al fascismo. Dopo la Marcia su Roma e la nomina di Benito Mussolini a capo del governo, le violenze squadristiche, che già avevano insanguinato molte città italiane, non accennavano a fermarsi. A Torino, città fortemente operaia e sede di grandi movimenti sindacali, la tensione era altissima: la sinistra cittadina — socialisti, comunisti, anarchici e sindacalisti — si opponeva con determinazione al nuovo regime, proprio mentre le milizie fasciste cercavano di annientare l’organizzazione operaia per piegare ogni resistenza.
La scintilla decisiva scoccò nella notte tra il 17 e il 18 dicembre 1922 in barriera di Nizza, dove una sparatoria tra squadristi e un militante comunista ferito a una gamba provocò la morte di due giovani fascisti. Questo episodio, anche se circoscritto, fu preso come scusa dai capi fascisti: un affronto da punire con spietatezza.
La strage di Torino
Il 18 dicembre, all’alba, scene di violenza incontrollata si abbatterono su Torino. Le squadre d’azione fasciste, guidate dal comandante locale Piero Brandimarte, irruppero per le strade della città e, in particolare, nei quartieri operai, con un solo obiettivo: colpire chiunque fosse sospettato di antifascismo o riconducibile al movimento operaio.
La prima tappa della furia squadrista fu la Camera del Lavoro, simbolo della lotta dei lavoratori torinesi. Qui vennero pestati, malmenati e arrestati sindacalisti, militanti socialisti, comunisti e anarchici. Non era una semplice aggressione: fu un attacco sistematico all’intera rete di organizzazioni operaie che avevano resistito all’avanzata fascista.
In pochi giorni, tra il 18 e il 20 dicembre, la violenza sconfinò in tutta la città. Le squadre fasciste prelevarono persone dalle loro case, dai luoghi di lavoro, perfino da luoghi pubblici, conducendole in posti isolati per ucciderle. In altri casi, i cadaveri vennero lasciati abbandonati in strada o nei campi circostanti.
Le vittime
Le vittime accertate furono 11. Tra di esse:
Carlo Berruti, ferroviere e consigliere comunale comunista, ucciso nelle campagne di Nichelino.
Pietro Ferrero, operaio e segretario torinese della Federazione Italiana Operai Metallurgici (FIOM), trovato barbaramente assassinato dopo essere stato trascinato legato a un camion.
Matteo Chiolero, tranviere e militante socialista, ucciso nella sua casa.
Erminio Andreone, fuochista delle ferrovie, assassinato davanti alla propria abitazione.
Leone Mazzola e Giovanni Massaro, entrambi operai e attivisti, uccisi in circostanze brutali.
Andrea Ghiomo e Matteo Tarizzo, trovati con il cranio fracassato fuori città.
Angelo Quintagliè ed Evasio Becchio, colpiti mentre si trovavano fuori o dentro Torino, semplicemente per le loro idee.
Molti altri furono feriti in modo grave, decine di persone subirono percosse e violenze, e numerose sedi di associazioni operaie furono date alle fiamme o devastate. Tra queste vennero bruciati circoli operai e devastata la sede del giornale L’Ordine Nuovo.
La furia degli squadristi non si limitò alla violenza fisica: fu una vera e propria punizione collettiva, finalizzata a spezzare i legami sociali e politici del mondo operaio torinese e a terrorizzare chiunque si opponesse alla dittatura nascente. La città che più aveva incarnato la resistenza operaia nel dopoguerra si trovò crudelmente schiacciata dalla reazione fascista.
Impunita all’epoca, ricordata dopo
Nel 1922, dopo l’eccidio, non vi furono indagini significative: un decreto di amnistia concesso pochi giorni dopo facilitò l’impunità per gli autori delle violenze. Solo anni dopo, dopo la caduta del fascismo, si cercò di fare giustizia, ma molti responsabili non furono mai definitivamente puniti.
La memoria di quei tre giorni di terrore tuttavia non si è mai spenta a Torino. Nel 1946 la città dedicò alle vittime una piazza — piazza XVIII Dicembre — davanti alla stazione di Porta Susa, e successivamente, nel 2006, una stazione della metropolitana fu intitolata alla stessa data. Una lapide commemorativa ricorda ogni anno quegli undici nomi e la brutalità con cui fu spezzata la vita di persone comuni e coraggiose.
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