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Ambiente

Etiopia: massacro delle popolazioni locali in nome del progresso economico

Redazione Quotidiano Piemontese

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Donne etiopi

Donne etiopi

150 persone, uomini, donne, bambini, uccisi in nome del denaro e dell’esproprio. Lo scorso 28 dicembre, 140-150 membri della tribù etiope Suri sono stati eliminati dalla milizia militare governativa per sfrattarli dai terreni su cui vivevano da sempre e far spazio alle imprese estere, sostenute dal Governo, per l’acquisto o lo sfruttamento di quelle  stesse terre. E non basta!Etiopia, Valle dell’Omo, Corno d’Africa. 200mila persone a rischio sopravvivenza a causa di una diga di costruzione italiana. In questa zona vivono numerosi popoli indigeni le cui tradizioni ancestrali sono ancora vive, ma il progetto Gibe III, una diga di dimensioni immense, potrebbe distruggere il loro ambiente, già fragile dal punto di vista ecologico, per non parlare delle economie di sussistenza legate al fiume e ai suoi cicli. A lanciare l’allarme è Survival International, organizzazione dedicata ai diritti dei popoli tribali.

Nel 2006, il governo etiope ha appaltato, con trattativa diretta, alla società italiana Salini Costruttori, con sedi in Lazio e Lombardia, la realizzazione dell’opera idroelettrica più imponente in Etiopia che rappresenterà una fonte di affari per lo Stato africano, come la vendita di energia elettrica ad altri Paesi. 240 metri di altezza, e una capacità di produzione energetica di 6.500 GWh all’anno, ovvero la diga più alta mai concepita al mondo con quel tipo di tecnologia.

I lavori sul fiume Omo, dove si trova il primo cantiere, sono iniziati sei anni fa, circa per 1,4 miliardi di euro e sono arrivati a 1/3 del totale, mentre i costi continuano a lievitare. La diga, una volta terminata –  probabilmente entrerà in funzione nel 2014 – sbarrerà il corso centro-settentrionale dell’Omo, il fiume che scorre per 760 km dall’altopiano etiope fino al lago Turkana, al confine con il Kenya. Attraverserà i parchi nazionali Mago e Omo e, nel 1980 il suo bacino è stato inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco per la sua importanza geologica e archeologica.

Contattata, l’azienda italiana si affida alla comunicazione presente sul proprio sito per esprimere la posizione ufficiale sull’iniziativa in corso in Africa. “Le grandi opere costruite da Salini hanno portata e utilità tali da rivelarsi spesso veri e propri “motori di sviluppo” economico e sociale per le comunità interessate”. L’80% del fatturato aziendale proviene da attività estere.

Sempre secondo quanto si legge sul sito, estrapolato da Reuters, agenzia stampa britannica, l’Etiopia ha negato che la costruzione della diga lascerebbe le 200mila persone di cui parla Survival, ora autosufficienti, totalmente dipendenti dagli aiuti.

Il portavoce del governo Shimeles Kermal sostiene che “esperti indipendenti molto rinomati hanno assicurato che la costruzione della diga non deve preoccupare le persone che vivono qua vicino”, senza specificare i nomi dei periti.

Salini nega che la diga possa provocare siccità o il blocco dell’acqua del fiume, sostenendo invece che la ridistribuirebbe nel corso dell’anno. A detta degli esperti consultati da Survival, anche questi non citati, la diga altererà i flussi stagionali dell’Omo che subirà una riduzione con impatto sugli ecosistemi della regione e sulle comunità indigene che abitano lungo le sponde del fiume. Il fenomeno interromperà il ciclo naturale delle esondazioni che riversano acqua e humus nella valle alimentando le foreste e consentendo agricoltura e pastorizia.

Le economie legate al fiume collasseranno con conseguente scarsità di cibo o, nei casi peggiori, carestia, per almeno 100mila persone. Alcuni popoli potrebbero, addirittura estinguersi, visto che non tutti i villaggi tribali sono indicati sulle mappe e, quindi facilmente individuabili. La diga avrà impatto anche sul lago Turkana, oltre il confine con il Kenya, che riceve più del 90% delle sue acque dal fiume Omo.

Il livello del lago, infatti, potrebbe abbassarsi in maniera rilevante mettendo a rischio il sostentamento di numerosi popoli come i Turkana, di antica discendenza Masai, e i Rendille, etnia originaria di una regione semidesertica del Kenya, che dal lago dipendono per pescare e bere acqua potabile. Survival lancia un appello ai finanziatori del progetto, tra cui banca africana di sviluppo, banca europea per gli Investimenti, banca mondiale e Governo italiano attraverso la cooperazione allo Sviluppo, di non sostenere l’impresa almeno fino a completamento di studi ambientali e sociali indipendenti e finché non saranno informate e consultate le popolazioni locali coinvolte che si sono rese conto della situazione solo alla vista delle ruspe.

Le azioni militari proseguono e lo sfollamento dei popoli tribali non si arresta. I soldati del Governo hanno l’ordine di agire in maniera repressiva e violenta se le varie etnie coinvolte in questo trasferimento massivo forzato oppongano, come accade già, resistenza.

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