Seguici su

Cultura

Calabresi racconta il sogno di Obama

Redazione Quotidiano Piemontese

Pubblicato

il

Sembra un romanzo o un film, ma non è invenzione. E’ la storia di Barack Obama e della sua incredibile ascesa politica, raccontata dal direttore de La Stampa, Mario Calabresi, nell’ambito di Biennale Democrazia. Il luogo scelto per l’incontro è la splendida aula del Senato di Palazzo Madama, una cornice simbolica e non solo estetica. Grazie al filo della narrazione Torino diventa Chicago e il cielo subalpino si fa americano (per una volta Marchionne non c’entra).

Calabresi riprende e commenta il Victory Speech, quel discorso, ormai entrato nella storia, che il Presidente pronunciò subito dopo le elezioni. Era la notte tra il 4 e il 5 novembre 2008: molti italiani rimasero svegli per ascoltarlo. La vicenda personale e politica del Presidente esercita sul giornalista un fascino magnetico. Calabresi, incorreggibile ottimista, è attratto dalle storie di riscatto umano e spirituale. Ne ha parlato in La fortuna non esiste (Mondadori, 2009), libro sulle vite di persone cadute e capaci di rialzarsi. Ne parlerà ancora nel suo prossimo lavoro, che forse si chiamerà Cosa tiene accese le stelle. Questa chiamata al sogno trova in Obama un potente alleato. Per tratteggiare “il suo uomo” Calabresi attinge anche all’esperienza personale: infatti, nel 2008, come corrispondente per Repubblica, seguì la campagna presidenziale giorno dopo giorno, città dopo città.

A distanza di due anni e mezzo il Victory Speech ha ancora la forza di stupire, anche se ha perduto qualcosa della sua lucentezza originaria. E’ come un rame un po’ brunito dal tempo. Oggi nell’immaginario collettivo il primo Presidente nero non è più un supereroe dei fumetti: è un uomo messo alla prova da due anni di mandato in uno dei momenti più difficili della storia americana, con una crisi economica globale, una riforma sanitaria controversa e un Nobel per la pace secondo alcuni non pienamente meritato. Eppure, al di là di qualunque giudizio politico, il programma del Presidente resta un caposaldo etico di straordinario valore. Ecco perché è bello rileggerlo durante Biennale Democrazia. La narrazione di Calabresi è avvincente, attenta a sottolineare come i limiti possano ribaltarsi in punti di forza. Molti motivi ragionevoli prospettavano la vittoria di Obama come un evento impossibile. Secondo i primi progetti il senatore dell’Illinois avrebbe potuto candidarsi per le presidenziali del 2016 o del 2020, non prima. Lui si presenta con otto anni di anticipo e stravince. E’ un colpo di teatro che sembra ispirato da un destino sottotraccia e che in due parole si chiama american dream. Un copione di una semplicità disarmane: “Il figlio di uno studente africano diventa Presidente del Paese più grande del mondo”.

Nel racconto si fondono gesti, parole, sentimenti: Obama che ringrazia l’avversario John Mc Cain e preferisce parlare del suo programma anziché passare il tempo a ribattere le affermazioni degli altri, Obama che sa far breccia nelle coscienze, Obama che vuole rappresentare tutti, anche chi non l’ha votato, perché “non si può polarizzare un paese spaccandolo”. E nel Senato di Palazzo Madama si insinua una vena di malinconia. Difficile non comparare quel sogno con l’esperienza nostrana. Ma Calabresi taglia corto: “Meglio di no. Non roviniamoci la serata”.

Iscrivi al canale Quotidiano Piemontese su WhatsApp, segui la nostra pagina Facebook e continua a leggere Quotidiano Piemontese