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Cultura

Il Festival delle Colline Torinesi si rilancia e si sposta in autunno dal 14 ottobre al 14 novembre

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La pandemia ha cancellato il programma di giugno 2020 della venticinquesima edizione del Festival delle Colline Torinesi_Torino Creazione Contemporanea anche se alcuni degli spettacoli di quel cartellone sono stati recuperati grazie a una formula di integrazione nella stagione di Teatro Piemonte Europa. Una formula che ha permesso di proporre al pubblico spettacoli di Licia Lanera, Valter Malosti, Margherita Mauro,
Bandini/Favaro e Danio Manfredini.

Ora la storica rassegna teatrale si rilancia spostandosi in un periodo inedito: dal 14 ottobre al 14 novembre 2021 il Festival delle Colline Torinesi, sempre organizzato dalla Fondazione TPE – Teatro Piemonte Europa, riprenderà il suo percorso con la ventiseiesima edizione. Un’edizione che ripropone molte novità e alcuni spettacoli fra i più attesi della venticinquesima, ma che non hanno potuto andare in scena. Non si tratta di una risposta a un’emergenza ma dell’avvio di un nuovo corso: il festival d’autunno significa infatti rilancio della rassegna e un parziale ripensamento della tradizionale formula.

Il tema
Il tema sarà: confini/sconfinamenti. “Ci sono tanti confini e tante possibilità di varcarli. Dai confini territoriali (che ben conoscono e soffrono i migranti) a quelli esistenziali, sperimentati in modo doloroso da tutti con la pandemia. Limitatamente alle arti i confini circoscrivono, a volte in modo improprio o pretestuoso, i linguaggi. Alla fine dell’Ottocento pittura e fotografia confliggevano, all’inizio del Novecento fu lo stesso per teatro e cinema. Poi la nascita delle nuove arti arricchì quelle tradizionali, come acutamente sottolinea Walter Benjamin. Si pensi, ad esempio, a un regista un po’ dimenticato come Erwin Piscator che nel suo Oplà noi viviamo di Toller del 1927, utilizzò proiezioni cinematografiche, in modo efficace. Uno dei compiti della creazione contemporanea, noi crediamo, è di «sconfinare», contaminare i linguaggi, alternarli, combinarli. La cosiddetta prosa e la danza, la performance e il video. Non a caso i francesi utilizzano il termine «création contemporaine»” commenta Sergio Ariotti, direttore della manifestazione.

“La sinergia che si è sviluppata tra la Stagione TPE e il Festival delle Colline Torinesi ha consentito agli spettatori più curiosi, e disposti a sperimentare, di condividere un progetto lungo un intero anno. Con lo sguardo sempre più rivolto alla scena internazionale stiamo tracciando la strada per quello che potrebbe diventare anche un progetto più ampio e partecipato di tutta la città. Il Teatro Astra sta diventando quel luogo dove valorizzare la “ricchezza delle differenze” che lo sguardo artistico propone, un luogo che ha come unico requisito l’alta qualità delle proposte, il luogo di una «Utopia contemporanea» – abitata da progetti trasversali che offrono un ventaglio di alternative e pluralità. Progetti che stanno allargando i confini del nostro pubblico, che condivide con noi questa avventura” sottolinea Valter Malosti, direttore della Fondazione TPE.

Il festival e l’arte performativa
Il Festival 26 è stato pensato anche per accostarsi ed esplorare il complesso mondo della performance, nel quadro della partnership con Fondazione Merz e la collaborazione con Fondazione Piemonte dal Vivo.

Dare spazio alla performance significa andare oltre certi steccati: guardare ad artisti che non utilizzano schemi drammaturgici consueti, ad artisti che cercano spazi nuovi, ad artisti che scommettono su altre complicità, persino con la moda e il design.

Il Festival delle Colline Torinesi non è peraltro nuovo a questi sconfinamenti come dimostra la sua storia e la presenza, negli anni, di artisti come Marie Cool e Fabio Balducci, Eva Meyer-Keller, Snejanka Mihaylova, Wajdi Mouawad e Judith Malina.

Proprio in questa direzione alla Fondazione Merz e in collaborazione con la fondazione stessa, saranno proposti al pubblico: Rompere il ghiaccio di OHT/Office for a Human Theatre, di Filippo Andreatta, con Magdalena Mitterhofer; Sunny Sundays di Rabih Mroué e Lina Majdalanie. Degli stessi artisti libanesi al Teatro Astra andrà in scena Borborygmus. “Il difficile momento storico che stiamo attraversando ribalta la riflessione sui confinamenti portando il fenomeno da osservato a condizione esistenziale. Le proposte culturali inserite nel programma di questa edizione del Festival si prendono cura delle ferite esacerbate dall’isolamento, sconfinando oltre i territori propri di arte e teatro, suggerendo strategie di liberazione” commenta Beatrice Merz, presidente della Fondazione Merz storica partner del festival. Al Castello di Rivoli, invece, in collaborazione con il celebre Museo d’Arte Contemporanea, il Festival sarà presente con Exhibition, evento performativo di Cuocolo/Bosetti pensato per i musei, che sotto forma di una bizzarra visita guidata, si interroga sulla natura della fruizione.

Il Paese ospite, gli argomenti e gli altri spettacoli
Il compito del teatro e di un festival che ne declina le tante facce è di essere coscienza critica del presente, occuparsi delle società in cui viviamo, decifrare questi tempi difficili, tra Covid e degrado del pianeta, povertà e migrazioni appunto, crisi economica ed effetti negativi della globalizzazione.

Queste, infatti saranno le riflessioni di diversi degli spettacoli in scena e in quest’ottica si inserisce anche la scelta di avere un Paese ospite ogni anno e che, nel 2021, sarà il Belgio. Nel segmento internazionale del programma 2021 figurano dunque i belgi di Need Company che propone All the Good, spettacolo di teatro, musica, danza, performing- art, nato da un incontro di Jan Lauwers con un veterano della guerra arabo-israeliana,

Elik Niv, diventato danzatore dopo un grave incidente e una lunga convalescenza; l’ungherese Kornél Mundruczó di Proton Theatre, alle prese con Imitation of Life: un atto d‘accusa contro una società contemporanea votata alla discriminazione. Faranno parte del cartellone 26 anche gli spagnoli Agrupaciòn Señor Serrano con The Mountain, al cui centro ci sono l’alpinista Mallory e i misteriosi interrogativi sulla salita all’Everest. Oltre a loro, i già citati Rabih Mroué e Lina Majdalanie, di ritorno al festival che per primo li ha fatti conoscere in Italia.

Il festival propone anche una dédicace alla famiglia d’arte Castellucci, presente con tre allestimenti di Chiara Guidi, Claudia Castellucci e Romeo Castellucci. Protagonista anche del primo titolo dei Quaderni del Festival: un nuovo progetto editoriale di riflessioni critiche edito da hopefulmonster editore.

Romeo Castellucci porta in scena Schwanengesang D744: concerto-spettacolo da vari Lieder di Schubert (al pianoforte Alain Franco), tutti al confine tra il mondo della speranza e l’oscurità degli abbandoni. In scena la soprano Kerstin Avemo, proiezioni video e le “scosse” musicali di Scott Gibbons. Un altro appuntamento con gli artisti che hanno scritto la storia del Festival riguarda Claudia Castellucci che proporrà in prima nazionale, dopo un esordio a San Pietroburgo, la sua La buona abitudine, creazione tra ballo, musica e arte. Terzo tassello della presenza Socìetas sarà Chiara Guidi con Edipo. Una fiaba di magia.

Sul tema Egitto e i dieci anni della Primavera Araba si esercita Miriam Selima Fieno in
uno spettacolo dedicato agli esuli egiziani che si erano o si sono battuti per la difesa
dei diritti umani in quel Paese. In scena oltre alla stessa Selima Fieno ci sarà la cantante
Jasmine El Baraunawi.
Sarà poi la volta di Tutto brucia, la nuova creazione di Motus ricavata da Le Troiane di
Sartre. Scritta a Roma nel 1964, Le Troiane è un adattamento del testo di Euripide,
riferito ai conflitti del Novecento. Sempre di Motus è Chroma Keys: una performance
dedicata al cinema e al potere quasi alchemico di una tecnica video (il Chroma Key
appunto, che in Piemonte ebbe tra i suoi maestri l‘artista astigiano Eugenio
Guglielminetti), tutta in sospeso tra un mondo a venire e un avvenire senza mondo, tra
Hitchcock e Godard, tra Lars Von Trier e Bela Tarr. Chroma Keys, presentato in
collaborazione con la Fondazione Merz, è interpretato da Silvia Calderoni.
La presenza di Socìetas e Motus sarà anche l‘atto conclusivo di un festeggiamento per
il quarto di secolo di programmazione. Le due compagnie sono state, infatti, le più
presenti negli anni al festival.

L’edizione 2021 concentra la propria attenzione anche su alcune giovani compagnie, oltre alla ricordata Miriam Selima Fieno, anche il già affermato Liv Ferracchiati con La tragedia è finita, Platonov, e Tedacà con Fine pena: ora di Elvio Fassone con Ninni Bruschetta. Nel segmento dedicato a teatro e arte ci sarà, infine, anche una creazione originale di Virgilio Sieni ispirata all’opera di Mario e Marisa Merz e Sonora Desert, installazione interattiva della Compagnia Muta Imago.

Il segno d’artista 2021
Nel 2006 l’Arte Povera fece irruzione a fianco del Festival grazie a Mario Merz, una cui Serie di Fibonacci divenne il primo «segno d’artista» (a cui seguirono, sempre in collaborazione con la Fondazione Merz: Marco Gastini, Luigi Mainolfi, Michelangelo Pistoletto, Nunzio, Giorgio Griffa, Marzia Migliora, Antje Reick, Masbedo, Zena El Khalil, Botto&Bruno, Marisa Merz, Lida Abdul, Pétrit Halilaj). Il segno d’artista 2021 sarà dell’artista francese Sophie Calle.

I partner
Il ventiseiesimo Festival delle Colline Torinesi è realizzato da Fondazione TPE – Teatro Piemonte Europa e ideato dall’Associazione Festival delle Colline Torinesi con la partnership della Fondazione Merz. L’iniziativa è realizzata in collaborazione con Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale, Fondazione Piemonte dal Vivo, Casa del Teatro Ragazzi e Giovani e Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea e con il sostegno di MIC Ministero della cultura, Regione Piemonte, Città di Torino, Fondazione CRT.

La Fondazione Compagnia di San Paolo è il maggior sostenitore dell’iniziativa.

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