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Assistenti sociali: Allontanamento Zero pensa agli adulti ma non ai bambini

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La maggioranza del Consiglio Regionale, martedì 25 ottobre, dopo tre anni di discussione, ha approvato il ddl “Allontanamento zero: interventi a sostegno della genitorialità e norme per la prevenzione degli allontanamenti”. Sono varie però le posizioni di esperti e addetti ai lavori contro la nuova legge. Vi abbiamo dato conto di quella
di DemoS-Democrazia Solidale, cui si aggiunge la presa di posizione degli assistenti sociali.

Nel 2020, insieme ad altri ordini professionali, associazioni, docenti universitari, forze sindacali e liberi cittadini, gli assistenti sociali hanno aderito al Comitato Zero Allontanamento Zero, portando l’attenzione sulle possibili criticità della normativa. «Quella approvata– ha detto Antonio Attinà, Presidente Ordine Assistenti Sociali del Piemonte – è una legge sulla quale porre la massima attenzione dal punto di vista professionale al fine di comprendere quali reali effetti produrrà, soprattutto alla luce dei dati attuali. Contrariamente a quanto è stato detto, infatti, i dati rivelano che l’impegno degli assistenti sociali e di tutti gli altri professionisti coinvolti ha permesso il raggiungimento di importanti risultati per quanto riguarda gli interventi di protezione dei minori».

Come ha sottolineato la Procuratrice del Tribunale dei minori di Torino, il testo tende a porre una maggiore attenzione al sostegno degli adulti, molto più dei minori. Questa evidenza apre ad una riflessione su una tematica complessa come la tutela minorile, che pur prevedendo un significativo accompagnamento degli adulti coinvolti, dovrebbe comunque sempre porre al centro i bisogni dei bambini.

La protezione del minore attraverso il collocamento in affido familiare o in comunità, è infatti volto a fornire un aiuto temporaneo al minore e alla sua famiglia ed è uno strumento concepito non per allontanare bensì per proteggere i minori, affiancare e supportare anche le loro famiglie in un percorso di recupero, laddove possibile. Parlare di “Allontanamento zero” significa invece centrare l’attenzione sugli aspetti del distacco dei bambini dalle loro famiglie – con cui continuano ad avere rapporti – ignorando l’aspetto positivo e protettivo di un’accoglienza eterofamiliare.

Il 98% dei minori in difficoltà viene seguito a casa o presso i parenti. La percentuale di allontanamento reale dalla famiglia d’origine e dal contesto familiare riguarda lo 0,24% di bambini e ragazzi, numeri più bassi della maggior parte degli stati europei. Tra i fattori di rischio, vanno segnalati trascuratezza affettiva e materiale (28,92%), incapacità educativa (24,42%), dipendenze (19,27%), maltrattamento (12,46%), gravi problemi del minore (7,72 %) e sospetto abuso (3,08%). Spesso in una singola situazione è presente più di uno di questi indicatori e, a volte, è riscontrabile anche una condizione di indigenza che non è mai però motivo di inserimento in protezione.

«Il Piemonte – continua Attinà – si è da sempre distinto per una cultura dell’accoglienza, testimoniando il grande impegno degli operatori sociali, dei servizi e delle associazioni nell’ambito dell’affido familiare. È questo impegno che ci sembra sia importante ricordare in questo momento, poiché in passato ha permesso il raggiungimento di notevoli risultati in termini di sostegno alle famiglie e ai minori del territorio regionale. Risultati che ora si spera non vengano messi in discussione».

Va ricordarto che l’Ordine ha partecipato due volte a consultazioni presso la quarta commissione consigliare della Regione, dove ha espresso le proprie valutazioni in merito al disegno di legge, evidenziando criticità che oggi restano tali.

Altrettanto importante è la necessaria integrazione di tutte le diverse politiche di welfare regionale: “Una reale innovazione delle politiche dedicate alla tutela minorile e al sostegno delle famiglie – conclude Attinà – consisterebbe in un’azione della Regione capace di integrare le politiche sociali e sanitarie, dell’abitare, dell’istruzione e del lavoro. L’invito è quello di non fare generalizzazioni, utili solo alla propaganda, e di non creare contrapposizioni perché il rischio è quello di minare la fiducia delle persone verso gli operatori e creare diffidenza verso i servizi. Questo significherebbe arrestare i percorsi di aiuto nei confronti dei più fragili e alzare il livello della tensione sociale, condizioni di cui non credo ci sia bisogno nell’attuale contesto economico e sociale”.

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