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Interviste

Psicoporno, intervista con Valeria Bianchi Mian, Debora Riva e Laura Salvai

Gabriele Farina

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Una psicoterapeuta junghiana, Valeria Bianchi Mian, una psicologa che si dedica all’underground, Debora Riva, ed una psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, sessuologa, Laura Salvai. E’ questo il variamente assortito trio di autrici che ha pensato e scritto Psicoporno, dodici racconti alla ricerca di Eros, edito da Buendia Books.

Si tratta di un curioso viaggio (a tratti intrigante, spesso ironico, a volte misterioso) nel mondo delle parafilie, vale a dire le pratiche sessuali meno frequenti, dal BDSM, al feticismo, passando per l’oggettistica, fino ad arrivare agli estremi della necrofilia. Per saperne di più vi invito a leggere la recensione completa del libro (sono 12 i racconti che lo compongono) ma soprattutto a godervi (scusate il gioco di parole) le risposte delle autrici alle mie domande.

Come è nata l’idea di trattare gli argomenti di questa raccolta?

Laura: L’idea è partita, in un primo tempo, da Valeria e da me. Essendo interessate per professione alle tematiche psicologiche e sessuologiche e, per passione, alla narrativa noir e thriller, abbiamo pensato che sarebbe stato interessante coniugare questi due mondi. In un secondo tempo abbiamo sentito l’esigenza di coinvolgere in questo progetto anche Debora, per offrire un terzo sguardo su questi temi, che ognuna di noi ha sviluppato in modo diverso e personale, secondo la propria particolare formazione ed esperienza.

Valeria: Ricordo che, agli albori dell’idea, la scrittura erotica femminile è stata un argomento di discussione e di riflessione, soprattutto per me. Esiste, ci siamo chieste, una specifica letteratura che tratti la capacità delle donne di scindere l’intero, il corpo e la sessualità, in categorie minime, per poi ritornare ad ampliare lo sguardo, sancendo così la differenza tra pornografia ed erotismo ma anche una loro possibile connessione dialogica? Una donna, attraverso la narrativa, esplora la sessualità in modo diverso rispetto alla penna di un maschio, oppure no? Abbiamo saltato a pié pari la logica binaria e ci siamo divertite a osservare l’incontro delle identità tra organi e ruoli, per ricreare insiemi, tra definizioni date e assenza di confini, per riformulare orizzonti. Dall’epoca di Saffo ed Elefantiade, da Louise Labé a Natalie Clifford Barney, da Rachilde – con il suo memorabile Signor Venere – a Histoire d’O, ne è passata di acqua sotto i ponti, ma il nostro intento è quello di offrire al pubblico una lettura che possa traghettare la curiosità oltre certe sfumature di grigio.

Perchè parlarne sotto forma di racconti?

Valeria: Il racconto è come un piccolo mondo fatto e finito, uno spazio dove la storia può definirsi senza amplificarsi troppo ma lasciando ai lettori il tempo sufficiente per immaginare un prequel e un sequel, e per immedesimarsi in un personaggio, in una traccia, in un elemento. Il racconto è una perlina da collegare in collana, e allora in Psicoporno noi abbiamo voluto infilare queste perline in triplette colorate per creare l’insieme. Un saggio di psicologia sul tema dell’erotismo non avrebbe avuto per noi tre autrici lo stesso appeal, mentre l’intento era quello di produrre un’opera di narrativa.

Laura: i racconti ci offrivano la possibilità di esprimere più sfaccettature della sessualità attraverso storie e personaggi diversi. La narrativa di questo tipo, spesso, è sottovalutata in Italia, secondo noi e la nostra editrice, invece, il mondo del racconto è un mondo ricco, interessante e complesso a cui va restituita la sua piena dignità.

Se dovessi dare una definizione di Psicoporno quale sarebbe?

Laura: Un libro non convenzionale, per menti aperte e curiose di scoprire trame inusuali e lettori che amano sorprendersi.

Valeria: Un diario di Psiche, quando nel mito lei è costretta ad allontanarsi da Eros, e mentre va cercando il modo di recuperare il legame con il dio della relazione, visita mondi alternativi e scopre l’inaspettato.

Debora: Un viaggio in cui partire con una valigia, perderla e trovare nuove vesti, non sempre comode, in cui sperimentarsi.

Si parla di attività sessuali meno diffuse, ma esistono degli studi che diano una dimensione del fenomeno? Riformulando la domanda: sono davvero così poco diffuse?

Debora: Esistono diverse ricerche che hanno indagato il fenomeno e la sua diffusione a livello statistico e ci rimandano come questo riguardi una persona su dieci (circa quattro milioni di italiani), in diverse forme e livelli. La variabilità dei modi di vivere la sessualità può essere vista come un continuum, più che una modalità bianco/nero di stampo binario. Va considerato però che parlare della propria sfera intima ed erotica non sempre è semplice, visto che lo sguardo societario e culturale la può colorare di tabù e giudizi morali che la vogliono silente, rinchiusa nella gabbia del “non si dice”. Ciò dà ragione di pensare che, se interrogate su questi temi, le persone non sempre rispondano in modo autentico, soprattutto in riferimento a condotte percepite come “estreme” o atipiche e talvolta non pienamente comprese, indagate e integrate, anche attraverso l’interiorizzazione di uno stigma. Nella mia esperienza clinica supporto quotidianamente chi, all’interno del proprio percorso di vita, esplora anche questi lati di sé, per renderli parte di una narrazione positiva in cui la sessualità possa essere costruttrice di significati e fonte di soddisfazione e crescita personale (qualsiasi siano le preferenze e i desideri che se ne fanno promotori). Posso dire che le richieste sono molte e, a mio avviso, in costante aumento.

Laura: quando si parla di certi particolari fenomeni, come quello delle preferenze e condotte sessuali, dobbiamo partire dal presupposto che le statistiche possano essere non realistiche. In questi casi possiamo osservare e analizzare solo una parte della realtà, spesso ci troviamo di fronte a un iceberg, in cui la parte visibile è molto più piccola di quella sommersa. In ambito criminale si parla di “numero oscuro” in riferimento alle statistiche sui reati. Le statistiche sulla sessualità non danno dati esatti sulla diffusione di certe condotte, ma offrono dati su chi partecipa alla statistica dichiarando in modo esplicito (e realistico) le proprie preferenze. Ci sono molte persone che hanno le stesse preferenze ma non le manifestano pubblicamente, o le nascondono, o dichiarano l’opposto rispetto a quello che vivono, per paura del giudizio, motivazioni culturali, sociali ecc. Pensiamo alla vita di tutti i giorni. Con gli amici o non si parla di sessualità, o se ne parla in modo non realistico. Chi parla della sua sessualità ha sempre l’orgasmo, fa l’amore tutti i giorni, eccetera. Da sessuologa posso dire che la realtà delle cose è ben diversa. Normalizzare le difficoltà sessuali, normalizzare le preferenze sessuali atipiche, potrebbe aiutare le persone a vivere la sessualità con maggiore libertà e benessere.

Qual è il limite tra il consentito e il non consentito?

Debora: Il limite non consiste tanto nel “cosa” si fa, quanto piuttosto nel “come”. Alla base di tutto vi è il consenso, che dev’essere informato, valido, consapevole e che può essere ritirato in qualsiasi momento. La consapevolezza dei propri desideri e la capacità di comunicarli in modo chiaro va di pari passo con quella dei propri limiti e del rispetto degli stessi (questo vale per sé e per tutti i partner coinvolti). Il “gioco” va negoziato, in un momento in cui, qualsiasi cosa si farà poi, ci si confronta tra persone, in un’ottica di rispetto reciproco e fiducia. Lo scopo è collaborativo (tutti i partner partecipano per soddisfare i propri desideri, nessuno a scapito degli altri) e niente va mai forzato. È importante che ciascuno, in primis, volga lo sguardo a se stesso, se ne sente il desiderio anche avvalendosi di un professionista adeguatamente formato che lo possa sostenere nel suo percorso di esplorazione. Va considerato anche che ogni attività non è priva di rischi: per questo è importante esserne coscienti e adottare tutte le accortezze necessarie per minimizzarli. Laddove manca il consenso reale (che non deve essere in alcun modo estorto o forzato), si sconfina nel campo del non consentito, quindi dell’abuso. Ciò vale tanto per le condotte considerate “estreme” quanto per ciò che appare più “normale”: un abbraccio non voluto, un bacio rubato… sono ugualmente non consenzienti, quindi anch’essi valicano questo limite.

Laura: Più che di limite tra consentito e non consentito parlerei di limite tra sano e non sano. Non è sana la sessualità giocata con persone minori o incapaci di fornire il consenso, non è sana la sessualità che crea danno (fisico o psichico) alla persona o agli altri. E’ sana la sessualità tra adulti consenzienti, quella che prevede un piacere condiviso e che non crea situazioni di disagio o danno fisico.

Valeria: Il consentire a qualcun altro di varcare lo spazio vitale è per ognuno di noi un patto che in primo luogo riguarda la coscienza. Per molte persone che hanno subito violenza, le distanze possono accorciarsi in modo apparentemente consenziente, celando invece la reiterazione del trauma. Alcune donne che ho avuto in terapia negli anni, ad esempio, hanno imparato nel tempo a mettere distanza, dando al consenso un nuovo valore. Ne ricordo una in particolare che utilizzava il bondage alla disperata ricerca dei propri reali desideri, uscendo sempre infelice e non realizzata dalle esperienze liminali. Un’altra donna, invece, non si permetteva di agire con maggiore trasgressività rispetto al proprio quadro famigliare, mentre il richiamo dell’oltre e dell’altro giungeva nelle vesti di un amante potenziale. Così come può capitare che un adolescente esplori senza filtri alcune situazioni di rischio per poi darsi confini diversi man mano che della sessualità acquista una consapevolezza più fine, quando parliamo di consenso dobbiamo tener conto di più livelli.

Rispetto ad altri Paesi l’Italia colpevolizza maggiormente le pratiche sessuali non tradizionali?

Debora: l’Italia è indubbiamente influenzata da aspetti culturali e religiosi che non supportano la sessualità vissuta in modo ricreativo e la stessa educazione sessuale talvolta fa storcere non pochi nasi, anche se il focus principale sembra essere la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e la contraccezione. A mio avviso, appaiono ancora carenti l’educazione alla diversità e l’educazione sentimentale. È plausibile che il contesto socio-culturale e una visione moralizzante delle condotte sessuali portino all’interiorizzazione di uno sguardo giudicante, che può essere vincolante nell’esplorazione sana e consapevole delle proprie inclinazioni. Va considerato anche che alcune pratiche e narrazioni, come ad esempio il BDSM, elicitano scenari e si esprimono attraverso un linguaggio culturalmente connotato in modo “negativo” nella sua accezione quotidiana, il che porta a immaginare scenari apocalittici che strizzano l’occhio a violenza e abuso in chi è esterno alla “scena”. C’è invece una sostanziale differenza, in quanto nel BDSM si parla di gioco, che anche laddove vissuto nella modalità più totalizzante costruisce scenari legati a ruoli negoziati e condivisi, non a persone. Quindi, i termini assumono un significato simbolico differente.

Da questo punto di vista la situazione è in miglioramento? Penso allo sdoganamento dei sex toys…

Debora: l’avvento di internet e dei social network, se da un lato ha portato la possibilità di reperire informazioni su qualsiasi cosa, dall’altro ha comportato il non controllo delle fonti, in uno scenario in cui chiunque può dire tutto e influenzare la percezione di chi legge e si informa attraverso questo canale (spesso perché teme di non poterlo fare in altri modi, anche per vergogna o per mancanza di opportunità). Un esempio è il mondo del porno, fruibile liberamente da tutti: si tratta di un prodotto a scopo ludico-ricreativo, non educativo… eppure per molti assurge a verità (pur nella consapevolezza della sua finzione). Così, si impara a commisurarsi a scene costruite, che non mostrano il prima e il dopo, né gli aspetti squisitamente psicologici, emotivi e relazionali. Lo stesso succede per quanto riguarda il mondo kinky, dove i significati si perdono nella velocità di fruizione dei prodotti e le simbologie possono essere indossate senza conoscerne la reale potenza. Questo sdoganamento però, al contempo offre l’opportunità a un numero sempre maggiore di persone per parlare di sé, fare attivismo e divulgazione su questi temi utilizzando diversi media e raggiungendo quindi un pubblico sempre più vasto. Grazie a internet è possibile uscire dai confini strettamente territoriali, ampliando i propri orizzonti culturali e trovando in altri gruppi un riferimento più affine a sé. La presenza di attivisti e divulgatori sempre più capillare aiuta sicuramente in tutto ciò.

Come vi siete divise i compiti?

Laura: non c’è stata una vera e propria divisione di compiti. Il processo si è svolto in modo estremamente spontaneo. Ognuna di noi aveva delle trame che voleva sviluppare e grazie alle nostre differenze di interessi e di stili di scrittura non ci sono state sovrapposizioni nelle scelte degli argomenti da trattare o nei modi in cui trattarli; è stato tutto molto naturale.

Valeria: Inoltre, le competenze professionali hanno orientato le scelte dandoci la possibilità di esplorare e coltivare un focus differente all’interno del gruppo. Per quel che mi riguarda, la lettura mitologica e mitopoietica, che genera miti come narrazioni di ampliamento della traccia iniziale favorendo una visione simbolica, è stata fondamentale e alla fine ho trovato che l’integrazione dei tre sguardi possa fornire un sostegno alla lettura, offrendo domande ai lettori più che risposte, così come abbiamo desiderato fare sin dall’inizio.

I racconti sono spesso ironici, a volte grotteschi, non manca il noir ed il mistero. Avete deciso di giocare sul tema su più fronti?

Laura: sì, questo è stato anche il ragionamento alla base della divisione dei racconti in triplette. In ogni tripletta, ad esempio, è presente un racconto ironico. L’alternanza di voci, con stili diversi di scrittura (a volte più noir, a volte più crudi) e orientate verso aspetti differenti della sessualità, ha fatto il resto. Ogni nostra voce è chiaramente identificabile ma allo stesso tempo si amalgama con le altre in modo armonico, per guidare il lettore in un percorso alternato di generi e stili narrativi differenti.

Ho trovato molto utile il glossario a fondo volume. Ammetto che alcuni dei termini erano a me totalmente sconosciuti. E’ un modo per dare gli strumenti per comprendere meglio i racconti o per fare un minimo di formazione sul tema?

Valeria: Anche il glossario è scritto in modo snello, di facile lettura. Non volevamo rendere il tutto troppo saggistico, bensì donare un’ulteriore lente di osservazione, senza essere esaustive. Ognuno potrà approfondire, se vorrà, i temi che ritiene più interessanti.

Qual è l’obiettivo di questo libro?

Laura: è quello di far conoscere sfaccettature diverse della sessualità umana, meno convenzionali, e attraverso la costruzione di personaggi particolari e dinamiche relazionali a volte funzionali e a volte disfunzionali, far comprendere in modo chiaro cosa è sano e cosa non lo è nella sessualità.

E poi ci sono i disegni di Valeria Bianchi Mian… sono un corredo o raccontano a loro volta emozioni e sensazioni?

Valeria: Da quando ho cominciato a pubblicare libri, le immagini accompagnano le scritture, tanto che mi è difficile pensare a un progetto letterario che ne sia privo. In ogni caso, anche quando scrivo penso e rifletto per immagini. Psicoporno, nella sua veste di piccolo libro verde e viola, con un certo carattere – nell’accezione di personalità e di stampa – mi ricorda le belle riviste erotiche degli anni Settanta, alcuni libri vintage da Poker d’Assi, ne ricordo uno in particolare sul tema del sadismo. Leggere come piacere della mente ma anche degli occhi, insomma. Per creare le immagini, così come è andato costruendosi il testo, ho unito i miei disegni ad alcune tracce delle mie co-autrici – segni grafici, lettere…

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