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Sanità sotto pressione: emorragia di infermieri a Novara

A colpire è soprattutto il profilo di chi se ne va. Si tratta in larga parte di giovani professionisti, nati tra il 1999 e il 2001, che dovrebbero rappresentare il futuro dell’assistenza infermieristica

Gabriele Farina

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NOVARA – Quanto accaduto nelle scorse settimane all’Istituto San Raffaele di Milano ha acceso un riflettore inquietante sulle condizioni in cui versa una parte della sanità italiana. E’ questa la denuncia del NURSID di Novara. La notte tra il 5 e il 6 dicembre, in uno degli ospedali più prestigiosi del Paese e in reparti ad altissima complessità, si è consumata quella che il NURSID definisce senza mezzi termini una “ordinaria follia”: personale reclutato tramite cooperative, privo di adeguata formazione, senza affiancamento, con scarsa conoscenza dei farmaci e persino della lingua italiana, è stato impiegato in Medicina Intensiva, esponendo i pazienti a rischi gravissimi.

Un episodio che non nasce dal nulla. Alla base del caos organizzativo, infatti, vi è stato l’esodo improvviso di 16 infermieri del reparto coinvolto, dimessisi in blocco nel giro di pochissimo tempo, coordinatrice compresa. Un segnale d’allarme lanciato dai lavoratori sulle condizioni di lavoro, rimasto però inascoltato, fino al punto di rottura.

La situazione a Novara

Una dinamica che, secondo il sindacato, non riguarda solo Milano. Anche l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Maggiore della Carità di Novara sta vivendo una vera e propria emorragia di personale infermieristico. Dal 1° dicembre, come attestano le determine pubblicate sull’albo pretorio, sette infermieri hanno rassegnato le dimissioni volontarie: quasi uno ogni due giorni.

A colpire è soprattutto il profilo di chi se ne va. Si tratta in larga parte di giovani professionisti, nati tra il 1999 e il 2001, che dovrebbero rappresentare il futuro dell’assistenza infermieristica. Invece scelgono di lasciare, attratti da realtà private con retribuzioni più elevate o da altre aziende pubbliche, come la stessa ASL di Novara, percepite come più attrattive sotto il profilo delle prospettive professionali. In particolare, pesa la possibilità di lavorare sul territorio, nelle cure e nell’assistenza primaria, abbandonando reparti ospedalieri sempre più simili a “trincee”, con carichi di lavoro giudicati insopportabili.

La denuncia del NURSID

Il NURSID denuncia da tempo una situazione critica anche al pronto soccorso del Maggiore, dove dall’estate il personale infermieristico risulta sotto organico di almeno sette unità. Una carenza strutturale che si traduce, mese dopo mese, nella sospensione di ferie, permessi e congedi per chi resta in servizio.

A tutto questo si aggiunge il malcontento legato alla mancata valorizzazione economica e professionale. Ben 321 infermieri e ostetriche dell’azienda risultano ancora in fascia D0, pur lavorando da anni senza aver mai percepito una progressione economica. Un dato che, secondo il sindacato, rende difficile – se non impossibile – pensare di rendere attrattiva la professione all’interno dell’azienda ospedaliera.

Il quadro si completa con migliaia di ore di straordinario accumulate negli anni, spesso non retribuite né compensate attraverso piani strutturati di recupero, e con la totale assenza di misure di welfare aziendale, presenti invece in realtà vicine come le ASL di Novara e Biella.

Sono questi, sottolinea il NURSID, gli “ingredienti di una tempesta perfetta” che rischia di abbattersi sull’AOU Maggiore della Carità, spingendo sempre più infermieri a prendere la strada delle dimissioni.

La crisi del sistema sanitario

Una crisi che riflette un problema più ampio e strutturale del sistema sanitario: stipendi inferiori a quelli di altri settori come la logistica, aggressioni in costante aumento, turni massacranti, carriere specialistiche di fatto inesistenti e nessuna reale forma di valorizzazione professionale. In questo contesto, chi denuncia le criticità viene spesso accusato di “fare allarmismo”, mentre le condizioni di lavoro continuano a peggiorare.

Secondo il sindacato, la capacità di un management serio si misura anche – e soprattutto – dalla volontà di affrontare queste problematiche con misure concrete e correttive. Senza un cambio di rotta, avvertono, il rischio è che i casi di Milano e Novara non restino episodi isolati, ma diventino la norma.

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