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Carceri piemontesi sotto pressione: sovraffollamento, carenze di personale e diritti negati

Radicali Italiani e Possibile lanciano un allarme durissimo sulle condizioni di detenzione, denunciando sovraffollamento, carenza cronica di personale e l’assenza di reali percorsi di reinserimento sociale

Gabriele Farina

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TORINO – Il sistema penitenziario piemontese torna al centro del dibattito politico. Dopo una serie di visite nelle strutture di Torino e Cuneo, Radicali Italiani e Possibile lanciano un allarme durissimo sulle condizioni di detenzione, denunciando sovraffollamento, carenza cronica di personale e l’assenza di reali percorsi di reinserimento sociale.

La situazione a Torino

Nel carcere di Torino la situazione viene definita “fuori controllo”. A fronte di una capienza regolamentare largamente superata, i detenuti sono oggi circa 1.450, con un esubero di circa 400 persone. Un dato che, secondo Filippo Blengino (segretario nazionale di Radicali Italiani), Francesca Druetti (segretaria nazionale di Possibile) e Samuele Moccia (coordinatore dell’Associazione Aglietta), rende le condizioni di vita “intollerabili” e incompatibili con la funzione costituzionale della pena.

Particolarmente critiche le condizioni del braccio C, dove vivono circa 160 detenuti per piano in strutture definite fatiscenti. A questo si aggiunge un disagio psichiatrico crescente e, soprattutto, una drammatica mancanza di personale educativo. “Ci chiediamo come il carcere possa svolgere la sua funzione rieducativa – sottolineano – quando manca persino il personale per renderla possibile”. Emblematico anche il dato sui mediatori culturali: nonostante una presenza significativa di detenuti stranieri, ne risulta in servizio uno solo.

Anche le esperienze considerate più avanzate rischiano di restare isolate. La cosiddetta “stanza dell’affetto”, una delle prime introdotte in Italia, viene definita una misura positiva ma insufficiente se non accompagnata da un intervento legislativo strutturale. “Senza una riforma – avvertono – resterà solo un simbolo”.

La situazione a Cuneo

Non meno preoccupante il quadro emerso dal carcere di Cuneo. Qui il problema non è tanto il sovraffollamento formale, quanto una condizione di saturazione permanente dovuta ai continui sfollamenti. Radicali e Possibile parlano di una sofferenza palpabile, che colpisce sia i detenuti sia gli operatori, costretti a lavorare con organici ridotti all’osso: un educatore ogni cento detenuti e nessun mediatore culturale.

Particolarmente grave la situazione della sezione di isolamento, collocata nel piano interrato e descritta come fatiscente. “Condizioni non degne di uno Stato che si definisce di diritto”, affermano Blengino, Bianca Piscolla, Giulia Marro e Francesca Druetti, che hanno preso parte alla visita.

Secondo le forze politiche coinvolte, affidare il reinserimento sociale dei detenuti esclusivamente alla buona volontà degli operatori è inaccettabile. Ancora più inaccettabile, aggiungono, è continuare a ignorare il legame tra carcere e recidiva. “Più carcere non significa più sicurezza”, ribadiscono, ricordando che l’Italia registra uno dei tassi di recidiva più alti d’Europa, superiore al 70%.

La richiesta finale è chiara e politica: investire su misure alternative alla detenzione, rafforzare il personale educativo e sociale, e superare una visione emergenziale del carcere. Perché, concludono, “chi entra oggi in carcere rischia seriamente di uscirne peggiore di come è entrato”. E questo, in uno Stato di diritto, non può essere accettato.

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