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Piemonte capitale italiana delle scorie nucleari: nel Vercellese e nell’Alessandrino il 79% della radioattività nazionale
Il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin conferma: la regione conserva il quantitativo più alto di rifiuti radioattivi del Paese. Storia e criticità di un’eredità nucleare che risale agli anni ’60.

TORINO – Il Piemonte detiene un primato di cui difficilmente può andare fiero: è la regione italiana che ospita la stragrande maggioranza della radioattività nazionale, pari al 79,30% del totale. A certificarlo è stato il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, intervenuto alla Camera nel corso di un’audizione dedicata allo smaltimento delle scorie nucleari e alla definizione delle aree idonee per lo sviluppo di impianti da fonti rinnovabili.
Il dato emerge dall’Inventario nazionale dei rifiuti radioattivi aggiornato al 31 dicembre 2023 e redatto dall’Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione). A quella data, in Italia si contavano 32.663 metri cubi di rifiuti radioattivi, in crescita del 5% rispetto al 2022, in prevalenza a bassa e bassissima attività.
Volume e radioattività: due facce dello stesso problema
Se si considerano solo i volumi di rifiuti, il Piemonte figura “solo” al terzo posto dopo Lazio e Lombardia, con 5.971 m³ pari al 18,28% del totale. Il Lazio guida la classifica con 10.549 m³ (32,30%), seguito dalla Lombardia con 6.435 m³ (19,70%). Tuttavia, è la radioattività contenuta a preoccupare maggiormente, e su questo fronte il Piemonte distanzia tutte le altre regioni: da solo concentra quasi l’80% della radioattività nazionale.
Un’eredità nucleare lunga decenni
Le ragioni di questa concentrazione risalgono alla stagione nucleare italiana degli anni ‘60-‘80, quando in Piemonte furono costruite alcune tra le più importanti infrastrutture del ciclo nucleare. A seguito del referendum del 1987 – che decretò l’uscita dell’Italia dal nucleare – gli impianti vennero chiusi, ma una parte consistente dei materiali radioattivi è rimasta stoccata nei siti stessi in cui fu prodotta.
Tra questi spiccano:
La centrale “E. Fermi” di Trino (Vercelli), tra i primi impianti nucleari attivati in Italia.
L’impianto Eurex di Saluggia, destinato al riprocessamento del combustibile nucleare, oggi in fase di smantellamento.
Il deposito di combustibile irraggiato “Avogadro”, anch’esso a Saluggia.
Lo stabilimento “Fabbricazioni Nucleari” di Bosco Marengo (Alessandria), dove veniva prodotto combustibile per centrali.
Tutti impianti che, pur inattivi, continuano a conservare rifiuti ad alta radioattività, in attesa di un sito nazionale di stoccaggio definitivo.
Il nodo del Deposito Nazionale
L’Italia, a distanza di quasi 40 anni dalla dismissione del nucleare, non ha ancora individuato un luogo per il Deposito Nazionale delle scorie. Questo progetto – più volte annunciato e rinviato – è pensato per custodire in sicurezza i rifiuti radioattivi di tutta Italia, oggi distribuiti in una ventina di siti temporanei.
Nel frattempo, territori come il Vercellese e l’Alessandrino si trovano a gestire le ricadute ambientali, sanitarie e logistiche di un’eredità nucleare mai completamente risolta. Le comunità locali, spesso mobilitate in comitati e associazioni, chiedono maggiore trasparenza, sicurezza e soprattutto tempi certi per la rimozione definitiva dei materiali pericolosi.
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Ardmando
26 Giugno 2025 at 8:03
Ed è importante sottolineare che non c’è alcun pericolo per la salute di persone e animali, perchè i depositi sono estremamente sicuri.
Presto il nucleare tornerà anche in Italia, sarà bene individuare luoghi adatti ad ospitare il DN delle scorie, visto che queste non derivano solo dalle centrali nucleari ma ogni struttura sanitaria che possieda un apparato a raggi X ne produce. Evviva il nucleare, UNICA vera fonte pulita per la produzione abbondante di energia.