CulturaIntervisteTorino
Maurizio Blini racconta Di rabbia e di vento… alla vecchia maniera
L’intervista con Maurizio Blini

TORINO – Maurizio Blini è una certezza. Il suo nuovo noir Di rabbia e di vento, Capricorno, ci riporta nella Torino dei fratelli Stelvio, la cui saga comincia a diventare corposa. L’ispettore Farci viene minacciato (forse) da uno dei membri di una gan di sudamericani, un personaggio noto, già coinvolto in una maxi rapina di un anno prima, il cui caso non è mai stato definitivamente chiuso.
Per la sua incolumità Farci viene distaccato ad Alessandria mentre i colleghi cercano di capire se i “latinos” sono invischiati in qualcosa di nuovo. Ne viene fuori un’indagine che porterà la squadra fino a Panama e ritorno, sulle tracce degli autori della vecchia rapina e alla scoperta dei nuovi traffici.
Un romanzo duro, i cui protagonisti escono sconfitti dall’impossibilità di agire, sopraffatti dalla giovane età delle nuove generazioni di delinquenti che stringono Torino in una morsa di violenza che sembra senza limiti.
A tirare le fila delle indagini Silvano Stelvio, capo della squadra mobile di Torino. Ad osservare a distanza, come sempre (e come sempre pronto a strigliare, suggerire, ascoltare) suo fratello Moreno, che quella stessa squadra mobile ha guidato in precedenza, prima di una meritata ma noiossissima pensione.
Il finale è drammatico.
L’intervista con Maurizio Blini
Un furgone che passa per strada, una minaccia che potrebbe anche non esserlo e si scatena il finimondo. Come nasce la nuova avventura dei fratelli Stelvio?
La nuova avventura dei fratelli Stelvio ha radici lontane, ancorate nei romanzi precedenti, nel riflettore puntato su un fenomeno sociale nuovo e, per certi versi, contraddittorio, le baby gang di Latinos. Un conflitto tra questi e la polizia, qualcuno in particolare della polizia, fa scattare un meccanismo arcaico, quello della vendetta, della rivalsa. Una storia malata.
La Torino che ci mostri è quella in cui le gang di giovanissimi sudamericani prendono il sopravvento e non hanno paura di usare armi e violenza. Qual è il quadro?
Il quadro è preoccupante. A Milano, in particolare, il fenomeno ha assunto proporzioni importanti. A Torino è emerso negli ultimi anni. Una generazione di giovanissimi latinos che anziché, come altre etnie, integrarsi, rivendica la propria diversità culturale, etnica, sociale, attraverso linguaggi di strada, come i tatuaggi, il vestiario, la musica rap. Una sorta di ribellione allo status quo, spesso con armi bianche alla mano, come i macete, senza timore alcuno delle conseguenze. Sfregio totale della morte, una religione cattolica divenuta nel
tempo esoterica dipinta sui loro corpi – e volti – il bisogno di fare soldi in fretta per dimostrare di essere grandi. Come i loro padri. Corpi di ragazzi con sguardi da uomini. Che fanno paura.
Nel romanzo viene fuori la frustrazione della polizia quando si trova invischiata in una situazione che non riesce a sbloccare. E’ una delle parti più difficili di questo lavoro?
Per comprendere un fenomeno sociale, un mutamento anche generazionale è importante conoscerlo, studiarlo, capirlo. Spesso, le forze dell’ordine arrivano in ritardo. La repressione, pertanto, anziché la prevenzione, diviene l’unico
percorso adottabile purtroppo. Il mondo cambia ed è necessario capirlo velocemente.
La storia si intreccia con le avventure precedenti, in particolare con un’inchiesta rimasta in sospeso…
Come dicevo poc’anzi, si tratta di una serie. E di ogni avventura, resta quel filo rosso che lega tutte le narrazioni. A partire dalla famosa rapina al Lingotto (Anatomia di una rapina) e dall’ingresso sulla scena di questa nuova gang.
Tra i temi che sviluppi c’è anche la grande differenza tra una questura centrale come Torino ed una decisamente di provincia come quella di Alessandria. Sono mondi così diversi?
Sì, sono mondi diversi. In provincia tutto pare come lontano, giunge ovattato, dilatato, spesso confuso. Per fortuna sono piccoli mondi che ancora vivono una antica originalità anche criminale. Purtroppo non sarà sempre così. La contaminazione sembra inarrestabile. E’ solo questione di tempo. Criminalità significa denaro. E il denaro non ha confini.
Nel corso della vicenda ci sono poi i rapporti tra colleghi, tra i quali nascono amicizie che rischiano di rompersi, ma anche potenziali amori. In fondo una questura è un luogo di lavoro come un altro, dove però ci sono quotidianamente temi così forti che rischiano di alterare i rapporti umani?
Come in ogni luogo di lavoro è possibile vedere intrecciarsi storie di amicizia, fratellanza, amore, odio, perché no. Forse in apparati come la polizia l’amalgama è maggiore. E’ quello che un tempo veniva definito cameratismo,
che unisce persone diverse arrivate da luoghi lontani e accomunate da una professione particolare, una passione, un dovere. Nei momenti difficili sono come dita di una mano che si chiudono a difesa e solidarietà contro tutti. Spesso, sono proprio quei temi forti a unire.
Senza raccontarci il finale possiamo dire però che è davvero tosto e drammatico. La perfetta chiusa per un romanzo che mostra una sorta di ritorno alla “Torino violenta”?
Molti lettori mi hanno scritto, alcuni hanno pianto, molti altri sono rimasti colpiti e tramortiti. Un finale forte, che ha scosso persino me. Non nascondo che quando scrivo l’empatia con i miei personaggi e le loro storie è così forte che gioisco e soffro con loro. In questo caso ho pianto anche io.
Torino violenta? Sì, forse. Diciamo che ci si tuffa nella realtà quotidiana, dove ormai la cronaca nera supera la fantasia. Senza troppi fronzoli e voli pindarici. Torino e le grandi città sono ormai quella roba lì. Ma una cosa voglio dirvi. Non finisce qui…
Iscriviti al canale Quotidiano Piemontese su WhatsApp, segui la nostra pagina Facebook e continua a leggere Quotidiano Piemontese
