TORINO – A Torino, c’è una piazza elegante e tranquilla: è Piazza Carlo Emanuele II, ma per i torinesi è da sempre Piazza Carlina. Pochi sanno che questo luogo, un tempo, era teatro di esecuzioni pubbliche.
Durante l’occupazione francese all’epoca di Napoleone, in piazza c’era una ghigliottina fissa, simbolo della “giustizia” rivoluzionaria. Ma quando i francesi furono cacciati con la Restaurazione, la ghigliottina fu tolta. Al suo posto arrivò la forca, montata e smontata ogni volta che doveva essere usata.
Le esecuzioni erano veri e propri spettacoli pubblici. Il sabato mattina la folla si radunava lungo le strade per vedere passare il condannato, spesso insultato e colpito da sassi e sputi, mentre percorreva l’ultimo tragitto verso il Rondò della Forca, fuori città.
Al centro di tutto questo c’era una figura tanto temuta quanto odiata: il boia. A Torino viveva in via Bonelli 2, ma nessuno voleva avvicinarglisi. Era disprezzato da tutti, perfino dai fornai, che per insultarlo gli davano il pane capovolto. Questo piccolo gesto di disprezzo spinse il duca Emanuele Filiberto di Savoia a imporre ai panettieri di fare un pane uguale da entrambi i lati, dando così origine a quello che oggi chiamiamo pancarré.
L’ultimo boia del Regno di Sardegna si chiamava Pietro Pantoni. Guadagnava bene, anche più di un impiegato statale, con stipendi da 1500 lire l’anno e tanti extra. Ma è ricordato più per l’invenzione indiretta del pancarré che per le sue esecuzioni.
Le impiccagioni pubbliche a Torino finirono nel 1864, con la morte di Carlo Savio. Poi arrivò la fucilazione, e infine anche quella venne abolita.
Casa del Boia