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Perché venerdì 17 porta sfortuna? Le vere origini di una superstizione tutta italiana
Le origini di questa superstizione affondano tra antiche credenze, simbolismi religiosi e curiosi giochi linguistici
TORINO – Ogni volta che il calendario segna venerdì 17, una sottile inquietudine attraversa l’Italia. C’è chi evita di prendere un aereo, chi rimanda una firma importante e chi, per precauzione, non fa proprio nulla di nuovo. Ma da dove nasce la convinzione che venerdì 17 porti sfortuna? Le origini di questa superstizione affondano tra antiche credenze, simbolismi religiosi e curiosi giochi linguistici.
Il numero 17: un presagio di morte già ai tempi dei Romani
Per capire tutto, bisogna partire dal numero 17, da sempre considerato infausto nella tradizione latina.
In numeri romani si scrive XVII, e anagrammandolo si ottiene VIXI, che in latino significa “ho vissuto”, cioè, per estensione, “la mia vita è finita”.
Un messaggio che i Romani associavano alla morte e alla sfortuna. Non è difficile immaginare come questo simbolismo si sia tramandato nei secoli, sedimentandosi nel pensiero popolare.
Il venerdì, giorno di dolore nella tradizione cristiana
A complicare le cose arriva il venerdì.
Nella tradizione cristiana, infatti, è il giorno della crocifissione di Gesù Cristo. Fin dal Medioevo, il venerdì veniva considerato un giorno “nefasto”, poco adatto a intraprendere nuove attività: sposarsi, partire per un viaggio o concludere affari in questo giorno era ritenuto un cattivo presagio.
Il risultato? Quando la tradizione cristiana ha incontrato l’antica simbologia latina, è nato un binomio esplosivo.
La combinazione perfetta della sfortuna
Un giorno funesto (il venerdì) unito a un numero maledetto (il 17): ecco come è nato venerdì 17, il giorno più sfortunato del calendario italiano.
Non esiste una data precisa in cui la superstizione si sia consolidata, ma le prime testimonianze scritte risalgono al Medioevo. Col tempo, il mito si è rafforzato, passando di bocca in bocca, fino a diventare un caposaldo del folclore moderno.
Ma solo in Italia! Altrove è il 13 il numero maledetto
Se raccontassimo a un inglese o a un americano che il 17 porta sfortuna, ci guarderebbe con stupore: per loro il giorno da temere è venerdì 13.
L’origine di questa superstizione è diversa e si lega a un altro numero carico di significati: il 13, che rompe la perfezione del 12 (come i mesi dell’anno, gli apostoli o i segni zodiacali). In molte culture del Nord Europa, il 13 è dunque un simbolo di squilibrio, di disordine, e il venerdì — di per sé un giorno “negativo” — amplifica la sensazione di sventura.
Insomma, dove gli anglosassoni temono il 13, gli italiani diffidano del 17: un perfetto esempio di diversità culturale anche nella sfortuna.
La superstizione nell’era digitale
Oggi può sembrare solo una curiosità folkloristica, ma la paura di venerdì 17 è tutt’altro che scomparsa.
Molte compagnie aeree italiane evitano di usare il numero 17 nei sedili o nei voli, alcuni alberghi saltano la stanza numero 17 e persino nei palazzi i piani 17 talvolta “spariscono” dall’ascensore.
La superstizione resiste, anche se ormai ha assunto un tono ironico. Sui social, ogni venerdì 17 si moltiplicano meme e battute: chi si rifugia sotto le coperte, chi posta quadrifogli e cornetti rossi, chi augura “buona fortuna, ne avrai bisogno”.
Un giorno da temere o da esorcizzare?
Che si creda o meno alla sfortuna, il venerdì 17 è diventato un piccolo rituale collettivo.
Un’occasione per sorridere delle proprie paure e per ricordare quanto le antiche credenze, anche in un mondo ipertecnologico, riescano ancora a sopravvivere.
Forse, dopotutto, temere un po’ la sfortuna è un modo per sentirsi ancora umani.
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