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Marelli chiede il Chapter 11 negli Stati Uniti: incertezza sul futuro degli stabilimenti italiani
Marelli avvia la procedura di Chapter 11 negli Stati Uniti per ristrutturare il debito. Sindacati preoccupati per i 6.000 lavoratori italiani coinvolti.

TORINO – È ufficiale: Marelli Holding, fornitore globale di componenti auto per gruppi come Nissan e Stellantis, ha avviato una procedura volontaria di Chapter 11 negli Stati Uniti, equivalente all’istanza di fallimento in Italia. L’obiettivo è ristrutturare il debito a lungo termine, che supera i 4 miliardi di dollari.
Secondo quanto comunicato dall’azienda, circa l’80% dei creditori ha già sottoscritto un accordo di sostegno al piano di ristrutturazione. La procedura consente a Marelli di ottenere liquidità immediata: 1,1 miliardi di dollari che serviranno a finanziare l’operatività e gli investimenti futuri.
Il Chapter 11 è una misura prevista dal diritto statunitense che consente a un’azienda in difficoltà di continuare a operare mentre ristruttura i propri debiti, sospendendo nel frattempo le azioni legali da parte dei creditori. Una procedura già utilizzata in passato da multinazionali come Avon e Northvolt.
“È la strada migliore per rafforzare il bilancio e convertire il debito in capitale proprio”, ha dichiarato David Slump, presidente e CEO di Marelli.
Le difficoltà e la possibile cessione
Negli ultimi anni Marelli ha vissuto una fase difficile, aggravata dalla crisi dell’automotive e dal calo degli ordini. La società è nata nel 2019 dalla fusione tra Magneti Marelli – ceduta da FCA al fondo KKR – e la giapponese Calsonic Kansei.
Il principale cliente, Nissan, rappresentava circa il 30% del fatturato. Le sue recenti difficoltà hanno contribuito all’aggravamento della situazione finanziaria di Marelli. Circolano voci su una possibile acquisizione da parte del gruppo indiano Motherson, che avrebbe manifestato interesse.
Sindacati preoccupati per gli stabilimenti italiani
In Italia l’allarme è immediato: i sindacati chiedono certezze per i circa 6.000 lavoratori distribuiti nei 10 impianti italiani. I timori maggiori riguardano i siti produttivi collegati a Stellantis, come Melfi, Sulmona e Caivano.
Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil e le altre sigle chiedono l’intervento del governo per fare chiarezza sulla tenuta industriale e occupazionale.
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