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Deve fare la radiografia alle anche ma la mandano in due ospedali e in due giorni diversi

Una paziente con una sola prescrizione medica costretta a prenotare due radiografie in due strutture diverse, in giorni differenti. Un caso simbolico che accende i riflettori su un sistema sanitario sempre più distante dai cittadini

Gabriele Farina

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TORINO – Una radiografia a entrambe le anche, prescritta in un’unica impegnativa dal medico di famiglia. Ma per la sanità piemontese non è stato possibile eseguire l’esame completo in una sola struttura: il Centro unico di prenotazione (Cup) ha infatti indicato due ospedali diversi, in giorni diversi, uno per ciascuna anca. A denunciare il paradosso è il presidente dell’Ordine dei Medici di Torino, Guido Giustetto, intervenuto al convegno organizzato dallo Spi Cgil sul tema delle disuguaglianze nell’accesso alle cure.

“La motivazione fornita dal Cup – spiega Giustetto – è che non esisteva alcuna disponibilità per effettuare due Rx consecutive nello stesso ospedale. Non c’era alternativa”. Una situazione surreale, ma che per il presidente dell’Ordine riflette un malfunzionamento sempre più profondo. “L’idea che si ricava da questa storia è che la persona non conti più nulla”, denuncia. “Oltretutto, come faranno i due radiologi a confrontare i risultati se le immagini sono state prodotte in sedi e momenti diversi?”.

Secondo Giustetto, episodi come questo mostrano quanto il Servizio sanitario nazionale (Ssn) stia smarrendo il suo senso originario: prendersi cura della persona. “Oggi tutta l’attenzione è spostata sulla prestazione, non sul paziente. L’enfasi sulle singole procedure ci sta conducendo verso un modello assicurativo della salute, fondato sull’aziendalismo e sulla privatizzazione”.

Il problema, secondo l’Ordine dei Medici, è più ampio e riguarda anche l’accessibilità. In Piemonte, il 10% della popolazione rinuncia alle cure per l’impossibilità di ottenerle nei tempi necessari dal sistema pubblico e l’impraticabilità economica dell’alternativa privata. Ma il dato forse più allarmante è che il 50% di chi ha bisogno di una visita o un esame non tenta nemmeno di prenotare nel pubblico, rivolgendosi direttamente al privato.

“In queste condizioni – conclude Giustetto – anche i medici perdono motivazione. I professionisti ci sono, ma non hanno più interesse a lavorare nel pubblico, dove sentono di non poter svolgere il proprio ruolo fino in fondo. Se vogliamo invertire la rotta, dobbiamo tornare a mettere la persona al centro e garantire risorse adeguate per un servizio sanitario davvero universale”.

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