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Curiosità Enogastronomia Piemonte

Quale può essere un tradizionale menù di Natale piemontese

In Piemonte, a Natale, si mangia insieme, custodendo una tradizione che passa di mano in mano, come una ricetta scritta a matita sul retro di un quaderno di cucina

Gabriele Farina

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TORINO – In Piemonte il Natale non è solo una festa: è un rito che si consuma lentamente, portata dopo portata, attorno a una tavola che diventa archivio di memoria collettiva. Qui il pranzo natalizio non ammette scorciatoie né improvvisazioni: è un racconto gastronomico che affonda le radici nella cucina contadina e borghese, dove l’abbondanza non è ostentazione ma rispetto per la festa.

Gli antipasti

Si comincia dagli antipasti, veri protagonisti del Natale piemontese. Non uno, non due, ma una teoria ordinata di piatti che arrivano in tavola come capitoli di un romanzo ben noto. Il vitello tonnato, rigorosamente “alla vecchia maniera”, apre spesso le danze, seguito dall’insalata russa, dalle acciughe al verde, dai tomini conditi con salse profumate. Nei giorni di festa fanno la loro comparsa anche la carne cruda all’albese, magari impreziosita dal tartufo, e i peperoni con la bagna cauda, piatto identitario che racconta meglio di qualsiasi discorso l’anima agricola della regione. La regola non scritta è chiara: meno di cinque antipasti sarebbe quasi una mancanza di rispetto.

I primi

I primi piatti parlano invece il linguaggio della pasta fresca fatta in casa. Gli agnolotti del plin, piccoli e intensi, conditi con il sugo dell’arrosto, sono una certezza che attraversa generazioni. Accanto a loro trovano spazio i tajarin, sottilissimi, spesso semplicemente burro e salvia, perché a Natale anche la semplicità diventa lusso. In alcune case il primo è un risotto, magari al Barolo o ai funghi porcini, omaggio ai profumi dei boschi e delle cantine.

I secondi

Il cuore del pranzo, però, resta il secondo. Il bollito misto piemontese è il piatto che più di ogni altro rappresenta la solennità natalizia: un insieme codificato di carni servite con bagnetto verde, bagnetto rosso e mostarda, in un equilibrio che è frutto di secoli di tradizione. In alternativa, il brasato al Barolo o l’arrosto di vitello – talvolta il cappone – riportano in tavola la cucina delle grandi occasioni, quella che richiede tempo, pazienza e rispetto per la materia prima.

I formaggi non sono sempre previsti, ma quando arrivano raccontano un territorio preciso: toma, robiola, Castelmagno, serviti senza eccessi, perché il finale deve essere affidato ai dolci.

I dolci

Ed è proprio sul dolce che il Natale piemontese ritrova il suo sorriso più goloso. Il bonèt, con cacao, amaretti e rum, è il simbolo di una tradizione che non teme il tempo. La torta di nocciole delle Langhe, le pesche ripiene, il panettone accompagnato da zabaione o crema al mascarpone chiudono il pranzo tra profumi familiari e gesti ripetuti ogni anno, uguali eppure sempre nuovi.

I vini

Il tutto accompagnato da vini che non sono semplici bevande ma compagni di viaggio: Barbera, Dolcetto, Barolo, fino al Moscato d’Asti o al Brachetto per il brindisi finale.

In Piemonte, a Natale, si mangia molto. Ma soprattutto si mangia insieme, custodendo una tradizione che passa di mano in mano, come una ricetta scritta a matita sul retro di un quaderno di cucina. E forse è proprio questo il segreto: non il singolo piatto, ma la tavola come luogo di continuità, dove il cibo diventa racconto e il Natale, ancora una volta, si riconosce.

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