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Quando partorire vicino casa si complica: il caso Piemonte
Quattro ospedali con meno di 500 parti l’anno continuano a operare. L’analisi delle strutture che non rispettano i parametri di sicurezza

PIEMONTE -. Mettiamola così: circa 26mila* bambini all’anno in Italia nascono in ospedali che non dovrebbero assistere parti. È il paradosso italiano dei punti nascita: 137 strutture, in cui si concentra il 7,8% del totale dei parti nazionale**, rimangono aperte***nonostante non raggiungano i 500 parti annui considerati il minimo per garantire sicurezza a mamme e neonati. La situazione non risparmia neanche il Piemonte che piazza quattro strutture nella black list.
Questi dati allarmanti emergono dal Ministero della Salute e del Programma Nazionale Esiti (PNE) gestito da AGENAS(Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) e sono stati portati alla ribalta dall’inchiesta Codice rosso, a firma di Milena Gabanelli e Simona Ravizza.
Di fronte a numeri così preoccupanti, è inevitabile domandarsi: quanti punti nascita possiamo davvero permetterci in Italia? E, soprattutto, quanti di questi sono effettivamente sicuri? Il problema non è solo numerico. È prima di tutto una questione di sicurezza e qualità dell’assistenza che riguarda la vita di chi si trova a partorire in strutture poco attrezzate, spesso lontane da centri di riferimento.
* figura Programma Nazionale Esiti 2024 di AGENASÂ
Cosa rende sicuro un punto nascita
La Società italiana di Neonatologia, insieme alla maggior parte degli esperti internazionali si legge nell’inchiesta, ha stabilito che sotto i 500 parti l’anno aumenta significativamente l’incidenza di rischi sia per la madre che per il neonato. Non è un numero scelto a tavolino, ma il risultato di osservazioni cliniche che hanno evidenziato come al di sotto di questa soglia la qualità dell’assistenza tenda a calare.
Ma cosa significa concretamente avere un punto nascita sicuro? L’articolo cita criteri precisi:
- numero minimo di parti annui: almeno 500 parti all’anno, meglio se 1.000. Questo garantisce che il personale medico e ostetrico abbia esperienza per gestire anche emergenze rare.
- eccezioni geografiche: in zone montane o isolate, la soglia può scendere a 500 parti, ma solo se non ci sono alternative vicine.
- servizi disponibili 24/7: sala travaglio, sala operatoria per cesarei, isola neonatale e pronto soccorso ostetrico sempre attivo.
- personale specializzato: medici e ostetriche dedicate, non “prese in prestito” da altri reparti.
Se un ospedale non rispetta questi parametri, il rischio per madre e figlio aumenta in modo documentabile. Ecco perché dal 2010 esiste un accordo stato-regioni che prevedeva la chiusura di queste strutture “sottosoglia”.
Il Piemonte sotto la lente d’ingrandimento
Analizzando i dati più recenti, in Piemonte emergono quattro situazioni che destano seria preoccupazione. Nella regione, questi ospedali continuano a operare nonostante non raggiungano i parametri minimi di sicurezza:
Ospedale | Città | Parti annui | Tipo | Criticità |
Stabilimento Ospedaliero Castelli | Verbania | 474 | Pubblico | Quasi al limite, zona lacustre complessa |
Ospedale Maggiore | Chieri | 430 | Pubblico | Vicino a Torino, alternative disponibili |
Ospedale Sant’Andrea | Vercelli | 392 | Pubblico | Capoluogo di provincia sotto soglia |
Casa di Cura San Biagio | Domodossola | 77 | Pubblico | Caso estremo in area montana |
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Vediamo nel dettaglio ogni situazione:
- Verbania
Presenta la situazione più borderline: con 474 parti annui mancano appena 26 nascite per raggiungere la soglia minima. Situato sul Lago Maggiore, l’ospedale Castelli serve un territorio che confina con la Svizzera e presenta caratteristiche geografiche particolari. La conformazione lacustre e la vicinanza al confine rendono più complessi i trasferimenti verso strutture alternative. Questo elemento che gioca sicuramente a favore del mantenimento del punto nascita.
- Chieri
con 430 parti, rappresenta un caso particolare perché si trova a pochi chilometri da Torino. La vicinanza al capoluogo piemontese, con i suoi grandi ospedali universitari, solleva interrogativi sulla reale necessità di mantenere aperto questo punto nascita. Le alternative sono facilmente raggiungibili e potrebbero garantire standard superiori.
- Vercelli
È forse il caso più paradossale: pur essendo capoluogo di provincia, con 392 parti non riesce a raggiungere i volumi necessari per garantire quella continuità di esperienza che è fondamentale in ostetricia. La città si trova in una posizione geografica che non presenta particolari difficoltà di collegamento.
- Domodossola
Rappresenta il caso più estremo e probabilmente più drammatico: con soli 77 parti all’anno, l’ospedale gestisce in media meno di due nascite a settimana. È una situazione che mette a durissima prova la possibilità di mantenere alta la preparazione del personale, soprattutto per quanto riguarda le complicazioni che richiedono interventi rapidi e altamente specializzati.
Il dilemma di Domodossola
Il caso dell’ospedale ossolano merita un approfondimento particolare perché rappresenta il dilemma in tutta la sua complessità . Chiudere il punto nascita significherebbe costringere le donne a percorrere decine di chilometri su strade di montagna spesso difficili, soprattutto in inverno o in caso di emergenza notturna. Ma lasciarlo aperto con 77 parti l’anno significa accettare un rischio clinico documentato.
La soluzione ipotizzata è quella delle équipe itineranti: medici ginecologi-ostetrici con grande esperienza che si spostano tra i presidi più piccoli, portando competenze specialistiche anche nelle strutture periferiche. È un’idea interessante che cerca di coniugare protezione sanitaria, ma per ora rimane largamente sulla carta. Servirebbero investimenti significativi, accordi tra diverse strutture e una pianificazione che al momento non si vede.
 Il paradosso delle deroghe infinite
Ma, se la situazione è questa, c’è da chiedersi: Perché queste strutture, insieme ad altre, restano aperte? Le ragioni sono sostanzialmente due:
- Deroghe utilizzate troppo spesso
Se nel 2010 l’accordo Stato-Regioni aveva fissato chiaramente la chiusura dei punti nascita sotto i 500 parti nel 2015 c’è un cambio di rotta: l’allora ministra della Salute Beatrice Lorenzin rese meno stringente il limite, introducendo valutazioni di contesto ambientale. Tradotto: se un ospedale è in montagna o in un’area isolata, può restare aperto anche con pochi parti.
E qui si innesca un paradosso che i numeri rendono evidente: nonostante le nascite siano crollate del 30% negli ultimi dodici anni (da 545.000 a 387.000), la percentuale di donne che partorisce in ospedali “sottosoglia” è rimasta praticamente invariata, passando dal 7,1% al 7,5%.
Dal 2015, il limite dei 500 parti non è più vincolante. Regioni e Province hanno potuto mantenere i punti nascita in aree svantaggiate, ma spesso questa libertà viene utilizzata per evitare decisioni politicamente difficili piuttosto che per reali necessità sanitarie.
- Mancanza di analisi rigorose
Il Comitato nazionale per il percorso nascita richiede studi dettagliati sui flussi di mobilità delle donne, ma senza dati precisi e tempestivi è facile procrastinare le decisioni. Dal 2023, Agenas ha iniziato a supportare queste valutazioni con modelli matematici più sofisticati, ma i risultati si vedranno solo nei prossimi anni.
Tra diritto alla cura e realtà dei fatti
La questione non è semplice come potrebbe sembrare a prima vista. Ogni chiusura comporta conseguenze concrete sulla vita delle persone, soprattutto di quelle che vivono nelle aree più periferiche. Dall’altro lato, garantire la tutela di madri e neonati non può essere considerato un optional.
Il caso piemontese evidenzia tutte le contraddizioni del sistema: abbiamo ospedali come quello di Chieri, facilmente sostituibili con strutture più affidabili e vicine, e altri come Domodossola, dove la chiusura creerebbe problemi di accessibilità reali e significativi.
La sfida per i prossimi anni sarà trovare soluzioni innovative che non sacrifichino né la protezione né l’accessibilità . Le équipe itineranti potrebbero essere una strada, così come accordi di collaborazione tra ospedali che permettano di concentrare le competenze mantenendo punti di accesso territoriali. Ma servono volontà politica, investimenti e, soprattutto, la capacità di prendere decisioni basate sui dati piuttosto che sulle pressioni locali.
I quattro ospedali piemontesi analizzati rappresentano un banco di prova per capire se il sistema sanitario italiano sarà in grado di adattarsi ai cambiamenti demografici e alle esigenze di tutela del XXI secolo.
La risposta, purtroppo, non è ancora arrivata.
*Il dato è stato calcolato in base alle statistiche demografiche italiane degli ultimi anni, dove le nascite si attestano intorno ai 400.000 bambini annui (con una tendenza al ribasso).
**Dati 2023.
***Programma Nazionale Esiti 2024 di AGENASÂ
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