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Cardinale Repole: “Torino rischia di suicidarsi. Il crollo delle nascite è la nostra emergenza più grande”

Un’omelia che, più che celebrare una festa liturgica, suona come una chiamata urgente alla responsabilità collettiva

Gabriele Farina

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TORINO – Un’omelia fortemente politica quella del cardinale arcivescovo di Torino Roberto Repole, pronunciata stamattina in Duomo per la festa di San Giovanni Battista. Il porporato ha offerto una riflessione netta sul presente della città: “Sempre meno bambini crescono e si fortificano a Torino. È un fallimento culturale epocale. Ci stiamo suicidando”, ha detto davanti alle autorità civili e religiose.

Partendo dal racconto evangelico della nascita di Giovanni Battista, Repole ha sottolineato come l’evangelista Luca dedichi poche parole al fatto in sé, ma molta attenzione alla reazione della comunità: è nel riconoscimento, nella cura e nella responsabilità degli adulti che una nuova vita può davvero iniziare a esistere.

“Ogni cucciolo d’uomo può nascere davvero solo se trova accoglienza, se c’è uno spazio adulto che sa aprirsi alla libertà inedita che ogni bambino porta con sé”, ha detto l’arcivescovo. Ma questo, ha osservato, non sta più accadendo.

“Crollo demografico, povertà educativa e fuga dei giovani: una città che non investe nel futuro”

I numeri preoccupano: 1.147 studenti in meno nelle scuole torinesi l’anno prossimo, 7.300 in meno in tutto il Piemonte. “Non possiamo continuare a deridere come bigotto o di destra l’insegnamento della Chiesa sulla maternità. È miope contrapporre i diritti delle donne alla necessità di nuove nascite. È triste e inquietante che il termine ‘pro vita’ sia diventato quasi un insulto”, ha affermato Repole.

Ma non è solo una questione culturale. Il cardinale denuncia l’iperliberismo che precarizza i giovani, immobilizza i capitali e desertifica la città. “Il 75% dei giovani trova solo lavori precari. Come possono mettere su famiglia? Torino è anche la terza città italiana per famiglie benestanti, ma quei patrimoni restano fermi nelle banche: 76 miliardi di euro”.

“Chi ha potere economico va convinto. Non basta biasimarli”

Il richiamo è forte ma non moralistico: “Non si può pretendere che i proprietari investano senza prospettive. Ma la città deve sapersi rendere credibile. Il problema è che Torino non riesce a convincerli”, ha detto Repole, invitando politica e istituzioni a “ridiventare intelligenti”.

Poi una domanda sferzante: “Perché in altre parti del mondo, anche più povere, l’apertura alla vita è ancora normale, e da noi è diventata il problema per eccellenza?”.

“Un approccio culturale che teme la vita e scarta i più fragili”

Alla radice, per il cardinale, c’è un modello culturale che vuole dominare e controllare tutto, ma finisce per temere la vita stessa, soprattutto quella più indifesa. “Trattiamo la nascita di un nuovo essere umano come una minaccia. Invece che un motivo di gioia, la novità e la libertà di un bambino diventano un ostacolo”.

Ma il Vangelo, ha ricordato, indica ancora una possibilità di svolta. L’immagine dei bambini che “crescono nel deserto” come Giovanni Battista diventa metafora dei giovani di oggi: invisibili, ma destinati a manifestarsi, a prendere il proprio posto nel mondo.

“Domani i giovani ci giudicheranno. Agiamo oggi nella loro prospettiva”

Infine, un appello diretto a chi ha responsabilità nella Chiesa, nella politica, nell’economia: “Noi adulti e anziani dobbiamo fare ogni scelta nella prospettiva dei bambini. Perché domani quei bambini – diventati adulti – ci giudicheranno”.

Un’omelia che, più che celebrare una festa liturgica, suona come una chiamata urgente alla responsabilità collettiva. E che trasforma il patrono Giovanni in un simbolo della profezia che oggi manca a Torino.

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