Economia
Cosa cambia con l’ESG per chi fa impresa
Non sono più solo i clienti a voler sapere da dove viene un prodotto. Lo chiedono anche i fornitori, gli investitori, le banche, e persino i dipendenti

Si fa presto a dire sostenibilità. Ma oggi, chi guida un’impresa si trova davanti a una serie di richieste ben precise. Non sono più solo i clienti a voler sapere da dove viene un prodotto. Lo chiedono anche i fornitori, gli investitori, le banche, e persino i dipendenti.
Nel frattempo, l’Europa ha cambiato le regole. E chi resta indietro, rischia di restare fuori. Senza troppi avvisi.
C’è una sigla che ricorre sempre più spesso: ESG. Tre lettere, tre ambiti: ambiente, società, governance. Ma cosa significano davvero? E soprattutto: cosa cambia per una piccola o media impresa?
Partiamo da un punto semplice. L’ESG non è un certificato da attaccare alla parete. È un criterio con cui le aziende vengono lette, valutate, scelte o scartate. Non da un solo soggetto, ma da un sistema. Se prima si guardava solo al prezzo, ora si guarda anche al comportamento.
Per un’azienda significa porsi domande scomode. Quanta energia consumiamo? I contratti che facciamo sono equi? Come scegliamo i fornitori? E le decisioni importanti: chi le prende, con quali regole?
Non servono grandi discorsi. Servono dati, coerenza, documenti chiari. Oggi molte PMI hanno già buone pratiche, ma non le chiamano così. Usano fornitori locali, investono nei dipendenti, evitano sprechi. Ma senza una struttura, senza una logica, tutto resta invisibile. E chi non comunica, semplicemente non esiste.
C’è un altro aspetto da considerare. Sempre più aziende, anche medio-piccole, si trovano a compilare questionari o autodichiarazioni su temi ESG per partecipare a gare, per essere accettate come fornitori o per ottenere finanziamenti. Non è un’opzione, è una prassi che si sta diffondendo in modo silenzioso. Alcune domande sono semplici, come “L’energia che utilizzate proviene da fonti rinnovabili?” Altre sono più complesse: “Avete un sistema documentato di gestione della diversità?” oppure “Come vengono prese le decisioni strategiche?”
Chi non ha una risposta pronta perde tempo. O perde opportunità. È su questo piano che l’ESG inizia a toccare la gestione concreta. Non è un principio astratto, è una modalità operativa.
Molti imprenditori pensano che occuparsene significhi scrivere un bilancio di sostenibilità o assumere un consulente. In realtà, il primo passo utile è fare un inventario di ciò che già esiste. Si può iniziare mappando le politiche aziendali, anche informali, i contratti con i fornitori, le prassi nei confronti dei dipendenti. La maggior parte delle imprese ha già qualche elemento allineato con i criteri ESG. Il problema è che spesso nessuno lo ha messo nero su bianco.
Una PMI, ad esempio, potrebbe avere scelto da anni fornitori locali per ridurre i costi logistici. Potrebbe avere introdotto, senza dargli un nome, un meccanismo di ascolto interno per i collaboratori. Potrebbe avere stretto accordi stabili con cooperative o realtà del territorio. Tutto questo può rientrare in una logica ESG. Ma serve sistematizzarlo. Senza una struttura, senza indicatori minimi, senza una logica dichiarata, nessun soggetto esterno lo interpreterà come tale.
La raccolta dati è un fattore molto importante. I criteri ESG, per essere applicabili, devono essere misurabili. Senza numeri, senza dati di partenza, nessuna rendicontazione è possibile. E nessun percorso di miglioramento può essere definito. Qui entra in gioco la parte più operativa: costruire uno schema di tracciamento. Non servono piattaforme complesse all’inizio. Basta una tabella che elenchi aree chiave, azioni già attive, documenti esistenti e possibili criticità. A quel punto è più semplice anche capire cosa manca.
Per chi desidera un supporto concreto nell’implementazione di strategie per la certificazione ESG, dal reporting alla governance, esistono realtà specializzate come ESG Impact che affiancano le aziende in ogni fase del percorso.
Spesso la governance viene sottovalutata. Si pensa che riguardi solo le grandi società con consiglio di amministrazione e organi complessi. Ma la governance, nel senso più diretto, è anche stabilire chi decide, su quali basi, con quali strumenti di verifica. In una microimpresa, può voler dire formalizzare per iscritto un processo che prima avveniva in modo implicito. Ad esempio: chi sceglie i fornitori? Con quali criteri? Esiste una procedura o si decide di volta in volta?
Una gestione trasparente e ripetibile diventa una forma di tutela. Se domani cambia un responsabile, quel processo resta. E può essere mostrato a chi lo richiede: clienti, banche, enti di controllo.
L’ambito ambientale è spesso il più visibile. Le aziende che operano in settori produttivi lo affrontano per necessità. Ma anche realtà di servizi possono intervenire: scegliendo energia da fonti rinnovabili, riducendo gli sprechi, ottimizzando gli spostamenti, digitalizzando i flussi. Non serve essere una fabbrica per generare impatto ambientale. Basta avere un ufficio con computer, riscaldamento e stampanti.
Ci sono interventi a costo zero, come l’introduzione di una policy per la gestione dei rifiuti. Altri richiedono investimenti minimi, come il passaggio a un fornitore energetico certificato. In entrambi i casi, ciò che conta è documentare la scelta e poterla collegare a un indicatore oggettivo: consumo energetico annuo, percentuale di differenziata, emissioni evitate.
Il tema sociale, invece, è più spesso trascurato. Ma è anche quello dove una piccola impresa può agire in modo molto diretto. Un imprenditore che conosce nome e cognome di tutti i suoi collaboratori è nella posizione migliore per migliorare il clima interno. A patto che trasformi l’informalità in metodo. Un registro delle ore di formazione, una procedura per accogliere segnalazioni interne, un criterio per riconoscere meriti o promuovere avanzamenti. Tutto questo costruisce un ambiente di lavoro più stabile.
Alcune aziende scelgono di dotarsi di un codice etico. Non è obbligatorio, ma aiuta. Serve a chiarire in modo semplice come si intende operare, cosa si considera accettabile e cosa no, quali sono i riferimenti che guidano le scelte quotidiane. Non serve farlo scrivere a uno studio legale: può bastare un documento di due pagine, chiaro e condiviso.
La rendicontazione ESG è l’ultimo passo, non il primo. Non si può scrivere un report se non si è fatto prima un percorso concreto. Eppure, molte aziende iniziano proprio da lì, magari per rispondere a una richiesta urgente. Il risultato è spesso un documento poco utile. Al contrario, una rendicontazione efficace deve essere la sintesi di un processo reale, osservabile, misurato nel tempo.
Quando i dati iniziano a essere raccolti in modo ordinato, si possono impostare indicatori. Ogni azienda deve scegliere i propri. Non ha senso applicare modelli standardizzati se non sono coerenti con il settore, le dimensioni e la struttura interna. Anche qui vale un principio semplice: meno indicatori, ma rilevanti.
Due paragrafi possono aiutare a capire da dove partire:
Area ambientale: energia consumata, provenienza delle fonti, gestione dei rifiuti, mobilità aziendale, manutenzioni, consumi di carta e acqua, emissioni dirette o indirette.
Area sociale e governance: struttura decisionale, formazione interna, presenza di procedure, parità di genere, livelli di rotazione del personale, gestione dei fornitori.
Questi elementi, una volta tracciati, costituiscono la base per ogni valutazione successiva. Il percorso ESG non ha un punto di arrivo fisso. È un processo ciclico. Si misura, si migliora, si comunica.
Comunicare significa rendere leggibile ciò che si fa. Inserire una pagina sul sito, preparare un documento sintetico per i clienti, mostrare i risultati interni ai dipendenti. Non tutto va pubblicato, ma ciò che viene condiviso deve essere chiaro e dimostrabile.
Il punto non è dire “siamo sostenibili”. Il punto è mostrare in che modo si stanno affrontando alcune aree rilevanti. Anche gli errori fanno parte del percorso, se riconosciuti e accompagnati da un piano di correzione. La trasparenza, in questi casi, vale più della perfezione.
Iscriviti al canale Quotidiano Piemontese su WhatsApp, segui la nostra pagina Facebook e continua a leggere Quotidiano Piemontese









