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Non sapeva che il fumo uccide: la Cassazione riapre il processo ai produttori
Clamorosa ordinanza della Suprema Corte ribalta la decisione della Corte d’Appello di Torino. Iniziò a fumare quando la correlazione col cancro non era nota

ROMA – Una sentenza destinata a fare giurisprudenza. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dagli eredi di un uomo deceduto per tumore ai polmoni, stabilendo un principio fondamentale: la semplice consapevolezza generica sui danni del fumo non è sufficiente per negare il risarcimento ai familiari delle vittime.
Il caso riguarda G.V., residente in provincia di Cuneo, morto nel 2013 dopo aver fumato per 45 anni una media di due pacchetti di sigarette Marlboro al giorno, a partire dall’età di 15 anni. I figli dell’uomo, rappresentati in giudizio dagli avvocati Carlo Tommaso Gasparro e Angelo Cardarella per conto del Codacons, avevano citato in giudizio British American Tobacco e l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, chiedendo un risarcimento per la morte del padre.
Dopo il rigetto della richiesta da parte della Corte d’Appello di Torino, che aveva considerato il comportamento del fumatore come una scelta consapevole, la terza sezione civile della Cassazione ha accolto il ricorso con l’ordinanza n. 1662/2025, pubblicata lo scorso 25 luglio.
La svolta della Cassazione
Secondo i giudici della Suprema Corte, l’attività di produzione e commercio del tabacco è da considerarsi “pericolosa” e soggetta quindi a un regime di responsabilità oggettiva. Ciò implica che l’eventuale colpa della vittima non può essere valutata con leggerezza: è necessario dimostrare che il danneggiato fosse effettivamente e specificamente consapevole dei rischi concreti connessi al consumo di sigarette.
La Cassazione ha infatti censurato l’impostazione della Corte torinese, secondo cui la pericolosità del fumo era “socialmente nota” già negli anni Sessanta. Secondo l’ordinanza, nel 1968 – anno in cui G.V. iniziò a fumare – non era ancora diffusa nella società italiana la consapevolezza della correlazione tra fumo e cancro, e tantomeno risultava che la vittima fosse stata specificamente informata dei rischi.
Inoltre, la Corte sottolinea come la normativa italiana abbia cominciato a colmare l’asimmetria informativa solo a partire dal 1990, con l’introduzione di obblighi di etichettatura e informazione sui pacchetti di sigarette.
Un principio chiaro: serve prova rigorosa
Nel testo dell’ordinanza si legge che la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare “se il fumatore avesse avuto effettiva consapevolezza della cancerogenicità del fumo”, e che per escludere la responsabilità del produttore è necessario dimostrare di “aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”, come l’introduzione di filtri, la riduzione delle sostanze nocive e l’informazione adeguata al consumatore.
Non risultando tale consapevolezza in capo al defunto G.V., la Cassazione ha escluso che la sua condotta possa essere considerata una “libera scelta”, ribaltando il giudizio precedente.
Ora la causa torna alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione, per un nuovo esame che dovrà tener conto dei principi stabiliti dalla Suprema Corte.
Codacons: “Decisione storica”
Soddisfatto il presidente del Codacons, Marco Maria Donzelli, che commenta:
“Si tratta di una decisione importantissima perché sconfessa le tesi di diversi tribunali italiani secondo cui chi inizia a fumare è pienamente consapevole dei rischi sanitari corsi e della possibilità di sviluppare gravi patologie. Ora si apre la strada a nuove cause risarcitorie in tutta Italia”.
Secondo il Codacons, la pronuncia della Cassazione potrebbe rappresentare un precedente fondamentale per numerosi altri casi analoghi, dando nuova forza alle richieste di risarcimento da parte dei familiari di vittime del fumo, soprattutto quando l’inizio del consumo risale a periodi storici in cui l’informazione sui rischi era carente o del tutto assente.
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