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Il Museo delle Torture e dei Serial Killer a Torino: perché mostrare la crudeltà umana può essere utile

Un percorso storico ed educativo per capire la violenza e sviluppare consapevolezza critica.

Chiara Scerba

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TORINO – Oggi sabato 6 dicembre, apre al pubblico alla Promotrice delle Belle Arti (sita nel cuore del Valentino) il Museo delle Torture e dei Serial Killer, già presente in città come Praga, Amsterdam e Chicago.

Un percorso storico che, nonostante la complessità e la durezza dell’argomento, si rivela fondamentale per comprendere le radici della violenza e riflettere sulle derive dell’essere umano, senza alcuna spettacolarizzazione.

Un’esposizione che vuole educare

Fin dall’ingresso ciò che colpisce non è il sensazionalismo, ma la cura con cui è costruita l’esposizione. L’ambiente è sobrio, quasi austero, lontano da qualsiasi estetica macabra. La mostra prettamente didascalica è rigorosa e le spiegazioni sono volutamente puntuali: il tema della tortura viene restituito al suo contesto storico, mostrando come e perché certe atrocità siano state commesse.

Il curatore, l’imprenditore Lorenzo Cantini, racconta come il suo interesse nacque nel 1983 quando vide per la prima volta antichi strumenti di tortura a Londra. Da lì, prima la prima mostra a Firenze, poi il grande successo in Messico, quindi il museo stabile a Milano. A Torino ha scelto deliberatamente di rendere gratuita la parte dedicata ai serial killer, per favorire la divulgazione: si paga solo l’ingresso all’area delle torture.

La prima sezione: l’orrore storico della tortura spiegato con rigore

Il percorso principale, che ripercorre anche il periodo dell’Inquisizione, offre più di millecinquecento metri quadrati di testimonianze e oggetti originali o filologicamente ricostruiti. Qui emergono i terribili strumenti autorizzati da Tomás de Torquemada, il più noto Grande Inquisitore di Spagna: dalla Sedia Inquisitoria alla Ghigliottina, fino al Banco di Stiramento.

Sono strumenti che raccontano una stagione di terrore sociale e religioso, e che – proprio perché mostrati e spiegati – assumono un valore pedagogico. Le polemiche sul tema, e che spesso vengono superate davanti allo scopo educativo che la mostra si pone, spesso derivano spesso dallo stretto legame tra Chiesa e le pratiche disumane che venivano inflitte e che in questo museo riemergono. Fortunatamente, la distanza temporale ci permette di appianare i dissensi e di comprendere appieno l’obiettivo.

«Ciò che non si conosce ci fa paura. Conoscere serve a non ripetere» è un principio guida che ci è stato più volte sottolineato durante la visita.

Cantini insiste anche sull’importanza di far partecipare i bambini, per renderli consapevoli delle brutalità del passato e aiutarli a sviluppare gli anticorpi culturali necessari a riconoscere e respingere ogni forma di violenza.

La seconda sezione: la galleria gratuita dei serial killer

La seconda sezione, gratuita previa prenotazione online, rappresenta l’appendice più contemporanea: una galleria dedicata a serial killer internazionali più noti e alle loro storie. Le voci udibili nel percorso sono ricostruzioni artificiali che rielaborano fedelmente parole e testi attribuiti ai protagonisti.

Tra i nomi citati: Ed Gein, il “Macellaio di Plainfield”, il celebre Mostro di Firenze, Donato Bilancia, autore di una lunga scia di omicidi legati ai treni, o ancora Milena Quaglini, la vittima che divenne carnefice, e molti altri. Ad ogni figura è dedicato o uno spazio arricchito di elementi caratterizzanti nella sua storia, o una galleria silenziosa dove è possibile stare in ascolto della storia raccontata in prima persona

Il ruolo di Cesare Lombroso: un invito alla lettura critica

La galleria non poteva che aprirsi con la figura di Cesare Lombroso, padre dell’antropologia criminale e figura centrale della Torino scientifica ottocentesca. La sua presenza non è celebrativa, ma critica. Lombroso viene presentato come il primo a considerare il delitto un fatto naturale e non solo morale, introducendo metodi di studio pionieristici, ad oggi superati.

La sua collocazione all’inizio del percorso invita i visitatori a tenere uno sguardo vigile sul rapporto tra scienza, società e interpretazione del male.

Perché questo museo serve oggi

Nel 2025, tra vicende spiacevoli e un dibattito pubblico spesso polarizzato, riflettere sulle origini della crudeltà umana è più urgente che mai. Il museo ricorda che la violenza ha molte facce e che capirla è l’unico modo per contrastarla davvero.

Si esce dal museo con un senso di inquietudine sana, quella che nasce dalla consapevolezza di qualcosa che è stato e che è, osservato però con più criticità. E forse ci lascia con il pensiero forte che il male non è un’entità astratta, ma un fenomeno umano.

 

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