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La Stampa in vendita, Luciana Littizzetto scrive una lettera a John Elkann – VIDEO
“Con affetto e un filo d’ansia per me e per tutti i miei colleghi”

TORINO – È arrivata, puntuale come un orologio e dritta al punto, la letterina scritta e letta da Luciana Littizzetto durante la puntata di ieri sera, domenica 14 dicembre, a Che Tempo Che Fa.
Una lunga lettera in cui la conduttrice e attrice fa il punto della situazione a seguito della notizia della vendita del Gruppo Gedi da parte di John Elkann alla società greca Antenna e di cui fanno parte La Stampa, Repubblica, Radio Deejay, Radio Capital, M2o; anche La Sentinella del Canavese e Huffington Post.
Caro John Elkann, in finanza detto lupo fratello di Lapo, dell’Italia Stellantis cometa, stalliere di cavallino Ferrari. Nato il primo di aprile, ma il pesce lo sta rifilando a noi.
Erede dell’avvocato che fino a un certo punto ha fatto di Torino un diamante nel mondo solo che il diamante è per sempre ma quanto pare noi di Torino invece no chi ti scrive caro John è una tua dipendente di Radio Deejay a partita IVA, pagamenti sempre puntuali su questo niente da dire, ti scrivo anche in quanto ex proprietaria di macchine Fiat e quindi almeno un mezzo battiscopa di una delle tue ville è stato finanziato dalla mia famiglia.
Ti parlo in quanto torinese e in quanto italiana che è preoccupata di quello che sta succedendo a due grandi giornalieri e a un po’ di radio che tu vuoi vendere, com’è nel tuo diritto così come nel nostro sentirci preoccupati perché i giornali, quelli seri, sono da sempre il cane da guardia del potere.
Sono la libera informazione, sono il pensiero critico indipendente e abbiamo paura che invece diventino altro nelle mani di chi possiede ormai grandi pezzi di mondo. Per questo i giornalisti sono in assemblea permanente e per questo si sono trasformati in guerrieri Jedi con le penne laser al posto delle spade, perché caro Elkann non è che stai vendendo un chiosco di piadine, stai vendendo un pezzo importante della storia culturale italiana.
E pensare che due settimane fa parlavamo di un assalto vergognoso la sede della Stampa e adesso parliamo della sua fine altrettanto vergognosa. Ora il governo sta mediando. Adesso sì, siamo tranquilli. Perché se ci pensa il governo…Mi aspetto di passare domani alla sede della Stampa e trovarci un negozietto cinese che fa gli orli.
C’è un compratore, è vero, si chiama Teodoro Kyriakou, è un armatore greco, amico di Trump, e ha come socio d’affari Bin Salman, il principe ereditario dell’Arabia Saudita che nella vita ha tre passioni: il petrolio, Renzi e comprare tutto ciò che passa per l’Europa. Cosa pensi che gliene freghi a Bin Salman di Torino? Non credo venga per la Sindone.
La stampa italiana non è un soprammobile da ricchi, è una voce, una storia, una responsabilità e non si può vendere come fosse una bici col cambio shimano. Se vendi un giornale non vendi solo un prodotto, ma un’abitudine che si è consolidata ogni mattina per decenni dalle cucine degli italiani ai banconi dei bar, dai sedili dai treni agli schermi degli smartphone.
Di una cosa solo sono certa, John, che noi tutti, conduttori, artisti, giornalisti, se domani ci sveglieremo e scopriremo di lavorare per un fondo greco, arabo o marziano, continueremo a fare quello che abbiamo sempre fatto, a raccontare il mondo come lo vediamo, senza farci influenzare.
Potete comprarci, venderci, potete prendere Augias e fargli ballare il sirtaki insieme a Giannini mentre la De Gregorio taglia la feta, obbligare Linus a cambiare il nome del programma in Deejay chiama Grecia, ma quello che non potete comprare è la testa di chi scrive, la lingua e il cuore di chi fa la radio, è la schiena dritta di chi fa giornalismo e di chi come me sale su un palco per dire quello che vede e non quello che conviene.
Perché un giornale può essere venduto, ma la stampa, quella vera, non è in vendita, il giornalismo non è un asset, la satira non è un orpello, la radio non è un gioco da tavolo del potere.
Non ci sono solo i soldi nel mondo, ricordatelo John, e ricordatevi una cosa signori investitori, possiamo lavorare per voi ma non saremo mai vostri.
Con affetto e un filo d’ansia per me e per tutti i miei colleghi.
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