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Una storia di Natale piemontese… raccontata dall’Intelligenza Artificiale

Come l’intelligenza artificiale interpreta il Natale

Gabriele Farina

Pubblicato

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TORINO – Lo sapete, ogni tanto ci divertiamo a giocare con l’intelligenza artificiale ed abbiamo provato a farlo anche la notte della vigilia di Natale. Ci siamo seduti vicino ad un camino acceso, con un bicchiere di vin brulè in mano, ed abbiamo chiesto a Chat Gpt di raccontarci una storia di Natale piemontese. Questo è quello che ne è venuto fuori.

Ovviamente vi invitiamo a dirci nei commenti se la storia vi è piaciuta e magari a raccontarci la vostra.

Una storia di Natale piemontese

La neve era arrivata piano, senza far rumore, come sanno fare solo le cose importanti. Aveva coperto i tetti di lose del paese, le vigne ormai spoglie e la strada che scendeva verso il fondovalle. A San Bartumè, un pugno di case tra le colline, il Natale era sempre stato così: raccolto, sobrio, quasi timido.

Giacum, il vecchio ciabattino, lo capì quando aprì la bottega quella mattina della vigilia. L’aria sapeva di legna bruciata e di freddo buono, quello che pizzica le mani ma scalda il cuore. Appese il cappotto al chiodo e si mise a battere il cuoio sul banco, tac, tac, un suono antico che sembrava tenere il tempo del paese.

Da anni Giacum viveva solo. La moglie se n’era andata in un inverno lontano e i figli erano scesi in città, “per lavoré e per vive mej”, dicevano. A Natale tornavano di rado, e lui non gliene faceva una colpa: «A l’é la vita», sospirava, stringendosi nelle spalle.

Verso mezzogiorno entrò in bottega la piccola Caterina, col naso rosso e le mani infreddolite.
«Giacum, la mia mama a dis che se pol riparé?»
Gli porse uno scarpone troppo grande per lei, ereditato da un cugino. Giacum lo prese, lo rigirò tra le dita nodose e sorrise.
«Se pol sempre prové, fija mia. A l’é quasi Natale.»

Non volle nulla in cambio. Come ogni vigilia, aveva deciso che quel giorno si lavorava per il piacere di farlo. “Fé bin a l’anima”, diceva sua madre.

La sera scese presto. Le luci tremolanti alle finestre sembravano stelle cadute sulla collina. Dalla chiesa arrivò il suono delle campane che chiamavano alla messa di mezzanotte, mentre le donne preparavano gli agnolotti e gli uomini versavano il vino buono, quello tenuto da parte “per le feste”.

Giacum chiuse la bottega e si incamminò piano verso casa. A metà strada, vide una figura ferma sotto il portico della vecchia osteria: un uomo avvolto in un cappotto liso, lo sguardo perso nel vuoto.
«A l’é tardi për sté fòra», disse Giacum.
L’uomo alzò gli occhi. «Son foresté. Me son perso.»

Non fece altre domande. In paese, a Natale, non servivano spiegazioni. Lo accompagnò a casa, mise un piatto in più sulla tavola e divise il pane e la minestra. Mangiarono in silenzio, ascoltando il vento fuori e il fuoco che crepitava.

Quando le campane suonarono la mezzanotte, l’uomo si alzò.
«Grazie, Giacum. Ti rendrai conto che questa sera hai ricevuto anche tu.»
Prima che potesse rispondere, era già sparito nella neve.

Il mattino dopo, il paese si svegliò sotto un sole limpido. Giacum uscì di casa e si accorse che la bottega aveva una finestra nuova, il tetto sistemato e la porta che non scricchiolava più. Nessuno seppe mai chi fosse stato.

Ma da quel Natale in poi, Giacum non rimase più solo. I figli tornarono più spesso, Caterina passava ogni tanto a salutarlo, e in bottega c’era sempre una sedia pronta “per chi capita”.

Perché in Piemonte, si sa, il Natale non fa rumore.
Ma quando arriva, resta.

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1 Commento

1 Commento

  1. Gian Franco

    24 Dicembre 2025 at 18:51

    Bella storiella, dialetto da correggere, ma per essere una prova va più che bene.

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